ROMA – In un anno i nostri salari hanno perso quasi due punti percentuali di potere d’acquisto. Esattamente l’1,8%, risultato della differenza tra la crescita, bassissima, dell’1,5% delle retribuzioni e il tasso di inflazione attestato al 3,3%. I dati Istat ci consegnano un risultato che non si vedeva dal 1997. Un record negativo cui segue la peggiore performance annuale delle retribuzioni. Lo “spread” salari-prezzi altissimo è contestuale al crollo della fiducia dei consumatori, l’indice del quale, è sceso a dicembre da 96,1 a 91,6. È il livello più basso dal 1996, ovvero da quando sono disponibili le serie destagionalizzate.
Molto ha inciso, sulla mancata crescita dei salari il ritardo generalizzato sui rinnovi contrattuali. Il 31,4% dei dipendenti è in ancora in attesa, mentre è raddoppiata la media dei mesi di attesa per i lavoratori con il contratto scaduto. A novembre 2011 l’attesa è di 23,9 mesi, in deciso aumento rispetto allo stesso mese dello scorso anno (13,4). La platea di lavoratori interessati riguarda 4,1 milioni di dipendenti, tre quarti dei quali del pubblico impiego. A ottobre erano trenta i contratti senza la firma del rinnovo, di cui sedici nella Pubblica Amministrazione.
Curiosa la coincidenza della perdita di potere d’acquisto con la Germania. Sempre 1,8% ma con l’ordine dei fattori invertito, con una crescita dei salari bassissima allo 0,6% e un livello di inflazione meno alto che in Italia, al 2,4%. Sul livello delle retribuzioni, però, con la Germania non c’è paragone. La busta paga di un single tedesco senza figli è più pesante di 5 mila euro mediamente. Grava sugli stipendi l’eccesso di carico fiscale che contribuisce a svuotare la retribuzione di un 46,9% che finisce nelle casse dello Stato e nella previdenza.