Proposte di popolo per rifare i connotati alle tasse: “La mia riforma è quella di dare a tutti i cittadini la possibilità di scaricare le tasse…Di colpo si annullerebbe l’evasione fiscale, perché tutti richiederebbero lo scontino o la fattura”. Lo suggerisce Gianni al Sole24Ore.
Oppure o anche, secondo Fidelio: “Perché non si modifica la norma che considera i familiari a carico..Possibile che siano passati 30 anni e il limite è sempre il vecchio importo di 5 milioni di lire?”. O la Svizzera come modello, dove “le aliquote sono più numerose che in Italia e cambiano in base al numero dei componenti del nucleo familiare”. Piace la Svizzera a Giancarlo Stasi.
O ancora “tassare esclusivamente i consumi creando però un paniere per i beni di prima necessità non tassato”, firmato Diego. Perfino “un’aliquota variabile che abolisce tutte le altre tasse e che parte da una imponibile di base uguale al 10 per cento per tutti fino a 10mila euro. Questa aliquota salirebbe progressivamente fino al 20 per cento sopra i 10mila, al 30 per cento sopra i 50mila e a 40 per cento sopra i 100 mila (con un aumento del 10 per cento per ogni figlio)”. Tesi di Adriano.
Proposte di popolo, ingenue, drastiche, semplici, disarmanti, contraddittorie. Mai però pazzesche quanto il fisco reale. 1800 leggi in materia, oltre 250 imposte in vigore, 1100 codici di tributo da utilizzare per versare le tasse e 1053 modifiche al Testo Unico sui redditi negli anni che vanno dal 1986 al 2009.
Così, indagando sul “puzzle” attualmente in vigore che regola come pagare le tasse, si scopre che ci sono perfino incertezze sul nome dell’Irpef, la principale imposta per il fisco italiano. E l’incertezza porta a una giungla che si ripercuote anche sul numero dei processi fiscali, che in un anno sono più di 329 mila, su di un totale di quelli ancora pendenti che si aggira su oltre 641 mila.
Non sorprende allora scoprire che la Banca mondiale collochi l’Italia da sempre su posizioni alquanto basse per quanto riguarda la graduatoria delle complessità degli adempimenti fiscali, per assolvere i quali, una piccola impresa deve destinare oltre 330 ore di lavoro, contro le 196 della Germania o le 132 della Francia o alle sole 63 della Svizzera.
Ma gli italiani, quando le tasse le pagano, per quante ore lavorano per pagarle? Per pagare il Fisco si lavora 4 ore al giorno, che corrisponderanno, nel 2010, a lavorare per 173 giorni utili. Uno in più rispetto al 2009 Se si calcola in questo modo il tempo lavorativo dedicato al Fisco, si scopre che la “libertà tributaria” arriva il 23 giugno. Solo da quel giorno in poi si lavora e si guadagna per se stessi.
La cifra corrisponde, in una giornata, a lavorare 114 minuti per pagare l’Irpef, 44 minuti per pagare i contributi, 70 per le imposte sui consumi e l’Iva per un totale di 228 minuti. Rimangono per sé solo 252 minuti di lavoro ogni giorno.