Sei milioni di italiani rischiano di perdere il lavoro entro il 2035 a causa dell'intelligenza artificiale (foto Ansa) - Blitz Quotidiano
Circa 15 milioni di lavoratori italiani, entro il 2035 saranno costretti a confrontarsi con l’intelligenza artificiale. Almeno 6 milioni di loro perderanno il posto, mentre i restanti 9 dovranno integrare l’utilizzo dell’IA nelle loro mansioni. Allo stesso tempo, l’IA rappresenterà anche un’opportunità, contribuendo a far crescere il pil italiano di 38 miliardi di euro in dieci anni.
I dati emergono da uno studio condotto dal Censis e da Confcooperative che spiega che nei prossimi dieci anni, il mercato del lavoro italiano cambierà profondamente a causa dell’IA. Lo studio evidenzia che l’esposizione all’automazione aumenta con il livello di istruzione, penalizzando in questo modo maggiormente le donne. Le professioni più esposte alla sostituzione sono quelle basate su attività altamente automatizzabili e includono:
Esistono, invece, alcune professioni che potranno integrare l’IA, mantenendo un ruolo centrale. La forza di queste professioni è la presenza di competenze umane non replicabili. Tra queste troviamo:
Lo studio rileva che più si è istruiti, maggiore è il rischio di essere esposti. Il 54 per cento dei lavoratori con un’istruzione superiore è infatti considerato ad alto rischio di sostituzione. Tra i lavoratori meno esposti all’automazione, il 64 per cento non ha conseguito il diploma di scuola superiore e solo il 3 per cento è laureato. Tra quelli che potranno invece integrare l’IA nelle proprie mansioni, il 59 per cento possiede una laurea, mentre il 29 per cento ha un diploma superiore.
C’è anche il problema del divario di genere, che con l’avvento dell’intelligenza artificiale potrebbe ampliarsi ulteriormente, poiché il 54 per cento dei lavoratori a rischio sostituzione è di sesso femminile. Le donne sono il 57 per cento del totale anche nei settori che vedranno l’IA entrare in modo complementare.
Il ritardo dell’Italia nell’adozione dell’IA rispetto all’Europa è significativo. Attualmente, solo l’8,2 per cento delle imprese italiane utilizza questa tecnologia, contro una media europea del 13,5 per cento. In Germania, l’intelligenza artificiale è adottata dal 19,7 percento delle aziende, in Spagna dall’11,3 per cento e in Francia dal 9,91 per cento. La ragione è da ricercare nella scarsa capacità e volontà di investimento in innovazione delle aziende italiane che sono piccole e piccolissime. E infatti questo ritardo è particolarmente ampio in settori come commercio e manifattura dove prevalgono le micro imprese.
Nel biennio 2025-2026, il 19,5 per cento delle imprese prevede di investire nell’IA, con un divario evidente tra le grandi aziende come quelle del settore informatico (55 per cento) e le piccole, come quelle che operano nella ristorazione (1,4 per cento).
L’Italia è anche sotto la media negli investimenti, destinando solo l’1,33 per cento del pil, contro il 2,33 per cento della media europea. La Germania ha raggiunto il 3,15 per cento, mentre la Francia è al 2,18 per cento. La Ue si è ripromessa di arrivare a una media del 3 per cento. L’Italia, con il suo mercato imprenditoriale composto principalmente da micro imprese che, come detto, sono meno inclini all’innovazione, riuscirà a raggiungere questo obiettivo?