Sergio Marchionne, il giocatore

Barack Obama e Sergio Marchionne

Davvero bravo Sergio Marchionne. E di parola. Con sei anni di anticipo restituisce ad USA e Canada i 7.6 miliardi di dollari che avevano offerto in dote alla Chrysler nella speranza che fossero sufficienti a mettere in piedi un matrimonio che, non potendo contare sulla bellezza e la freschezza della sposa, doveva sollecitare con altre armi l’interesse dello sposo.

In realtà la dote era solo un prestito e non certo a buon mercato. Quindi restituirlo era un imperativo categorico perché rischiava di incidere su un bilancio ancora acerbo.

Una buona notizia, ma anche una notizia. Perché fino ad ora, grazie alle innegabili capacità di Sergio Marchionne sul piano della comunicazione, si era imposta la generale convinzione che la Crhysler fosse solo un regalo o, se volete, un baratto: la tecnologia della Fiat in cambio di una marca per la quale il precedente proprietario, la Daimler, non aveva esitato a mettere mano al portafoglio pur di liberarsene. Bene ora sappiamo che la Chrysler un costo lo aveva e neppure molto contenuto.

I 7.6 miliardi di dollari pagati dall’amministratore delegato della Fiat ai quali vanno aggiunti gli interessi pagati fino ad ora, sono pur sempre una bella cifra. Ora il debito è alle spalle. Ma è davvero così? Pagare un debito con un altro debito, pur ottenuto ad un tasso più favorevole, rimanda più all’immagine dei giocatori d’azzardo disperati di Dostoevskij che a quello di un manager globale.

Soprattutto nel momento in cui, dopo tanta finanza, è arrivato di mettere mano al prodotto e, più in generale, di aggiungere qualche mattone in più nella costruzione di quella “fabbrica Italia” da venti miliardi di euro della quale ancora non si riescono a percepire i reali contorni.

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