ROMA – Shale gas, rischio bolla finanziaria. Crolla il petrolio, debito fuori controllo. L’allarme l’ha lanciato Bloomberg che in un’analisi sulle prime 60 società di shale gas e shale oil quotate in Borsa, ha tratto questo dato: a fine giugno i debiti ammontavano a 190,2 miliardi di $, in crescita di 50 miliardi dalla fine del 2011. Negli ultimi quattro anni il carico debitorio è quasi raddoppiato, mentre le entrate sono rimaste al palo del 5,6%.
Il problema è che queste società rappresentano una quota considerevole (15,,7%, 10 anni era il 4,3%) del mercato obbligazionario ad alto rendimento, in pratica quelle obbligazioni considerate “junk bond”, titoli spazzatura, per l’alto rischio di insolvibilità. Il problema è che estrarre con la tecnica del fracking è molto costoso e ancora poco remunerativo per cui le stesse società sono costrette a cercare sul mercato il capitale necessario per continuare a trivellare.
Secondo S&P’s due società di estrazione su tre fanno parte del club “junk”. Se ci si mette anche il crollo del prezzo del greggio al barile la situazione è ancora più pericolosa. Una bolla è messa in conto da esperti e analisti finanziari.
La vita produttiva di questi pozzi è tuttora brevissima, tanto che l’output crolla del 65-90% dopo il primo anno. Anche solo per mantere stabile la produzione bisogna quindi trivellare continuamente nuovi pozzi, spendendo ogni volta milioni di dollari. Il che molto spesso significa contrarre nuovi debiti: un meccanismo perverso, che ha spinto alcuni osservatori a paragonare lo shale a un gigantesco schema Ponzi. (Susi Bellomo, Il Sole 24 Ore)
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