Smart working ad un bivio, a fine marzo finisce lo stato di emergenza: poi quale strada imboccare?

Smart working ad un bivio: che strada prenderà? Il 31 marzo  termina lo stato di emergenza.

Le imprese e i lavoratori dovranno firmare milioni di accordi individuali. C’è il rischio concreto di ingolfare l’attività aziendale. È un rischio che non possiamo correre. Il cosiddetto “lavoro da remoto “ o “lavoro agile” era pressoché sconosciuto in Italia. 

È esploso due anni fa (marzo 2020) con il primo lockdown. Il governo ha adottato una serie di misure urgenti di semplificazione per lo smart working, abolendo temporaneamente la firma di un accordo individuale tra azienda e datore di lavoro per sburocratizzare il tutto e permettere a milioni di lavoratori di lavorare in sicurezza da casa.

Una svolta epocale. Lo smart working è un cambio di mentalità repentino che ha interessato inizialmente  9 milioni di lavoratori

Ma il risultato è stato buono. Lo certifica l’Inapp (Istituto Nazionale per l’analisi delle Politiche Pubbliche), un ente pubblico di ricerca molto quotato e seguito specie dal mercato del lavoro. Di più: l’Inapp ha indagato su 7,2 milioni di lavoratori (tanti sono oggi) ed ha scoperto che quasi la metà, potendo, sceglierebbe di connettersi da casa almeno per tre giorni alla settimana.

In testa i pendolari: risparmiano soldi e tempo.  E sono più rilassati rispetto ai tempi di attesa sui binari, traffico, ritardi e imprevisti vari nel tragitto casa-ufficio.

Con lo Smart working la vita cambia. Lo ammette il 64% e oltre il 60% lamenta l’aumento dei costi delle utenze domestiche. Ma il vantaggio di poter organizzare in libertà il lavoro e gestire gli impegni familiari è notevole. Insomma, il modello regge ma servono correzioni per superare le criticità. Due anni di sperimentazione  hanno dato buone indicazioni. Ad esempio: un lavoratore su cinque accetterebbe una retribuzione inferiore pur di non andare in ufficio.

IL FUTURO FUORI CITTÀ

Sorpresa: dal sondaggio è emerso che, finita la pandemia, oltre il 30% dei lavoratori da remoto è disposto a trasferirsi in un piccolo centro. Addirittura 4 su 10 afferma che dopo la tempesta Covid  si trasferirà in un luogo isolato, in ambienti di vita e di lavoro più a contatto con la natura. Il futuro è già cominciato.

Gestione cookie