Coronavirus, smart working in crescita: si rischia un eccesso di controlli aziendali

ROMA – Il premier Conte lo ha annunciato durante la diretta in cui, la notte di sabato 21 marzo, ha comunicato la decisione di un’ulteriore stretta sulle attività produttive per evitare la diffusione dell’epidemia di coronavirus: “Al di fuori delle attività essenziali consentiremo solo il lavoro in modalità smart working”. 

Il ricorso al lavoro agile (questa la definizione italiana che più si addice a quella anglosassone di “mart working”) per far fronte all’emergenza coronavirus si sta rivelando una grande opportunità per il mercato del lavoro: le aziende e i lavoratori possono scoprire che, attraverso questo modo di lavorare basato sulla fiducia, si ottiene più produttività ma anche più flessibilità nella gestione del tempo e dello spazio di lavoro.

Tuttavia, come spiega Giampiero Falasca del Sole 24 Ore,”il modo necessariamente improvvisato con cui il sistema produttivo si è avvicinato a questo strumento nasconde una forte insidia: le aziende e le persone potrebbero non essere pronte a gestire correttamente lo smart working. Uno dei temi dove questa impreparazione potrebbe emergere in modo più evidente è la gestione dei controlli sul lavoratore”.

Per far fronte al problema si deve far riferimento all’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori che  fissa un principio molto rigoroso: sono vietati l’installazione e l’uso di apparecchiature tecnologiche e sistemi in grado di controllare a distanza lo svolgimento dell’attività lavorativa del dipendente, a meno che il ricorso a questi apparecchi non sia prima concordato con un accordo sindacale o sia autorizzato dall’Ispettorato territoriale del lavoro.

Fonte: Sole 24 Ore

Gestione cookie