L’Agenzia delle Entrate sa che quasi 4 milioni di italiani hanno già investito in criptovalute e da molti di loro pretende delle tasse.
Sì, al fisco italiano bisogna dichiarare il possesso di criptovalute e, in caso di guadagni, si deve pure versare un’imposta. La norma che regola tale fattispecie è l’articolo 1, commi da 126 a 147, della legge 29 dicembre 2022, n. 197 (ovvero la legge di Bilancio 2023). Tale legge ha introdotto modifiche alla disciplina di tassazione delle criptoattività. E lo ha fatto allo scopo di rendere la normativa fiscale coerente con i nuovi sviluppi delle diverse tipologie esistenti di investimenti in criptovalute.
Le criptoattività sono definite dalla legge citata come rappresentazioni digitali di valore o diritti che possono essere trasferiti (e memorizzati elettronicamente) tramite tecnologie come la blockchain o altri tipi di registri distribuiti.
In pratica, per l’Agenzia delle Entrate, chi possiede bitcoin o altre criptovalute o guadagna da ogni tipo possibile di criptoattività deve dichiarare questi beni immateriali e tutte le possibile entrate a esse connesse. Di conseguenza, deve pagare le tasse, e ci sono ovviamente specifiche regole su come farlo.
Chi investe in monete digitali deve dunque sapere che è stata introdotta una nuova categoria di redditi che include le plusvalenze (quindi i guadagni e, in generale i proventi), derivanti da criptovalute e criptoattività. Per legge, si paga se il totale del guadagno ottenuto con le criptovalute supera i 2.000 euro in un anno fiscale.
Arrivati a questo punto, è utile quindi capire a quanto sono tassate le plusvalenze… Ebbene, i guadagni derivanti da criptoattività sono tassati al 26%, a meno che non siano ottenuti nell’ambito di un’attività commerciale, professionale o come dipendente.
In una recente comunicazione, l’Agenzia delle Entrate ha spiegato come dichiarare le criptovalute e le criptoattività. Dal primo gennaio 2023, come riportato dal comunicato dell’AdE, anche tutte le criptoattività devono essere riportate nel quadro RW del modello Redditi (ovvero la sezione utilizzata per il monitoraggio fiscale delle attività finanziarie e patrimoniali detenute all’estero), proprio come era già stato deciso per le criptovalute.
E ciò vale anche per chi non possiede direttamente monete digitali come Bitcoin, Ethereum oppure litecoin, o diritti su attività a esse connesse ma è il titolare effettivo dell’investimento. Inoltre, plusvalenze e minusvalenze derivanti dalla cessione di criptovalute devono sempre essere riportate nel quadro RT (dove si inseriscono le entrate finanziarie) della dichiarazione dei redditi.
L’AdE ha anche spiegato che è possibile applicare un’imposta sostitutiva pure per gli operatori non finanziari, con l’opzione per il regime del risparmio amministrato o gestito. Ciò che è fondamentale sapere è che le criptovalute devono essere dichiarate nel quadro RW della dichiarazione dei redditi, indipendentemente dal wallet o exchange utilizzato. Lo Stato deve infatti ottenere una percentuale sul guadagno e deve monitorare ogni attività fiscale, per combattere il riciclaggio di denaro.
Come spiegato, le plusvalenze derivanti dalla vendita o dalla permuta di criptovalute sono soggette a un’imposta fissa pari al 26% (se superano i 2.000 euro nel periodo d’imposta). Ciò implica che i guadagni inferiori alla soglia stabilita sono esenti da imposte. Inoltre, l’AdE ricorda che è prevista un’imposta di bollo specifica sul valore delle criptoattività possedute.
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