Si votasse oggi Monti al 43%: ma il 42% delle famiglie non spende più

Pubblicato il 12 Aprile 2012 - 10:35 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – “Climi di consumo” si chiama la ricerca Eurisko che segnala la diffusa percezione dell’aumento dei prezzi, di molto superiore all’andamento dell’inflazione reale. E i consumi superano solo la soglia della depressione: ci si astiene dal comprare più che cercare prodotti meno cari e a buon mercato. Le famiglie aprono il portafoglio con molta più riluttanza del già scoraggiante marzo 2011: quando pianifica la propria spesa per i generi di grande consumo  il 42% delle famiglie decide di dare un taglio ai viveri. A marzo dell’anno scorso era il 32%. Come quando c’è molta umidità e il termometro non è in grado di fornire l’esatta intensità del freddo così gli italiani sentono, percepiscono che il clima economico è volto a burrasca, il futuro immediato minaccia pioggia fissa.

Intervistato dal Corriere della Sera, l’amministratore delegato di Eurisko Remo Lucchi ammette di non credere ai suoi occhi quando legge i dati delle ricerche. “Mai visto nulla di simile in 44 anni. Gli italiani non vogliono spendere perché temono la catastrofe e sono senza prospettive. Non comprano le cose normali: una bibita, i biscotti per la colazione, un panino in pausa pranzo…Oltre a rinviare gli acquisti più costosi ma necessari, si riducono anche quelli da pochi euro”. Sul clima economico anche il Presidente della Repubblica Napolitano ha parlato di ritorno improvviso dell’inverno, alludendo al po’ di freddo che ritarda la primavera e soprattutto alla difficile congiuntura in cui lo spread torna lo spauracchio di qualche mese fa.

A dire il vero, Napolitano agita anche il vessillo della crescita, dello sviluppo, concedendo che il tempo dell’austerity non è ancora finito ma incalzando con forza un Governo che forse ha tutti i master in regola per puntellare i conti, stringere i cordoni della borsa come si dice, ma che, rispetto alla tanto invocata fase 2 non ha ancora le idee chiare. Ma se il denominatore del Pil non cresce, anzi cala, i conti non tornano lo stesso. Un dato per tutti che ha sempre rappresentato il barometro più indicativo per la salute dell’economia: le aziende risparmiano sulla pubblicità, l’anno scorso hanno contratto la spesa del 3%, nei primi due mesi del 2012 addirittura del 20%. E infatti, guardando al dato generale sull’andamento del Pil, il Tesoro ha dovuto rivedere le stime: il nuovo documento aggiornerà la flessione all’1,5%, in forte peggioramento rispetto allo 0,4% previsto a fine 2011. Con la disoccupazione giovanile al 31,9%, tutto il peso si scarica sulle famiglie. E la minaccia sempre presente di nuove manovre economiche, a questo punto un sovrappiù di depressione da tramortire un corpo già debilitato.

E’ la fiducia nel Paese, in questo momento, la risorsa più carente, nonostante il gradimento verso Monti resti alta, si presentasse oggi alle elezioni voterebbe per lui il 43% degli italiani, ma solo perché correrebbe senza concorrenti degni di questo nome. Il 3% rispettivamente a Bersani e Berlusconi accordato da chi crede siano più adatti  come leader di Monti la dice lunga sulla credibilità attuale dei partiti. Ma, come Napolitano, come gli investitori stranieri, anche gli italiani vogliono vedere provvedimenti e non annunci, vogliono che smetta i panni del professore e indossi quello dello statista che mostri un orizzonte meno angusto del 2013, dove lo sguardo è tutto occupato dalla stabilità a svantaggio della crescita economica.

E sulla caduta libera dei consumi siamo sicuri che l’effetto Cortina non abbia inciso almeno un po’? L’invito (o piuttosto la preghiera in ginocchio) a diminuire la pressione fiscale è unanime, sulla spesa pubblica prima i risultati della spending review arrivano, prima si potranno tagliare costosi rami secchi. Intanto l’investitore straniero tipo, dopo essersi rifatto delle perdite, gira al largo dall’Italia e dai suoi titoli di Stato. Per chi ci vive non resta che fare un altro buco alla cinta.