ROMA – Sorgenia, banche si accollano il debito ma niente altre concessioni a Cir/Verbund. Manca solo la risposta del cda di Sorgenia, ma gli ultimi tasselli del riassetto della società termoelettrica sono giunti all’incastro decisivo. Da una parte la ristrutturazione del debito da 2,9 miliardi di euro, dall’altra il passaggio di mano nel controllo di Sorgenia: all’esito del salvataggio le 19 banche creditrici, che taglieranno di 600 milioni l’indebitamento della società, si ritroveranno azioniste al 98% mentre Cir e Verbund vedranno le loro quote, attualmente pari al 52,9% e al 46%, praticamente azzerate. Il valore è stato azzerato (solo 5 anni fa valeva 3,9 miliardi di euro). Il piano prevede la trasformazione di 400 milioni in equity e 200 milioni in un convertendo a 10 anni (tasso pik 4%). La vicenda permette a Marcello Zacché su Il Giornale di ricostruire il groviglio politico/finanziario (“Così De Benedetti fa pagare Sorgenia alle banche”):
È il sogno di ogni imprenditore: mettere in piedi con 100 euro una piccola società. Farla crescere e tessere buone relazioni con le banche e con i media. Così da invitare a partecipare anche un altro socio al quale vendere una quota della società. La quale, nel frattempo, non vale più 100, ma molto di più: lo dicono le banche; lo dice la stampa. Così il nuovo socio entra, ma il suo 49% di minoranza non lo paga 50 euro, bensì 13 volte di più: 650. Mentre le banche arrivano a prestare alla società altri euro, fino a 2mila […]
[…] C’è anche il caso che la società, gestita dallo stesso imprenditore, finisca sull’orlo del fallimento. Eppure anche in questo caso all’imprenditore non succede granché: dopo essersi ripreso una buona parte dei suoi 100 euro attraverso i dividendi, con i primi utili della società, ora non tira fuori più nemmeno un ghello e lascia che siano le banche a prendersi la sua creatura, che ormai vale zero. C’è anche il caso che la società, gestita dallo stesso imprenditore, finisca sull’orlo del fallimento. Eppure anche in questo caso all’imprenditore non succede granché: dopo essersi ripreso una buona parte dei suoi 100 euro attraverso i dividendi, con i primi utili della società, ora non tira fuori più nemmeno un ghello e lascia che siano le banche a prendersi la sua creatura, che ormai vale zero.
Le condizioni dell’intesa. Due erano i principali ostacoli alla definizione del salvataggio: sul tema dell’earn-out, cioè delle modalità di ripartizione dell’eventuale plusvalenza tra banche e soci una volta rimborsati i debiti e remunerato l’investimento degli istituti di credito, non ci sarebbero state grandi aperture alle richieste di Cir e Verbund così come maggiori concessioni sul fronte della manleva, cioè sull’assunzione da parte dei nuovi soci di eventuali responsabilità pregresse di malagestione.
In tema di earn-out Cir e Verbund chiedevano di limitare al 7% il tasso interno di rendimento (irr) da accordare al capitale che le banche investiranno attraverso la ricapitalizzazione da 400 milioni, a fronte del 10% preteso dagli istituti, che su questo punto non hanno fatte ulteriori concessioni. Questo incide sulla consistenza, limitandola, dell’eventuale plusvalenza che dovesse emergere in caso di vendita, e sulla quale le banche hanno ottenuto una ripartizione 90% – 10% a loro favore, a fronte della richiesta di una spartizione più equilibrata da parte di Cir e Verbund. Su queste proposte di correttivi i creditori avrebbero però concesso solo limature marginali al loro piano iniziale. Non figurerebbe invece nella proposta alcun limite temporale all’earn-out dei soci, che potranno così partecipare all’eventuale plusvalenza anche se realizzata a distanza di anni.