Tutti amano fare acquisti online e, con la stessa intensità, odiano dover spendere per la spedizione del reso.
Lo shopping online è il settore maggiormente in crescita nel mondo come volume di affari, investimenti, sviluppo e occupazione. Ma ci sono ancora molti aspetti poco chiari nelle compravendite tramite web. Uno di questi riguarda le politiche di reso del prodotto. La maggior parte dei consumatori si sente infatti inibita di fronte alla prospettiva di dover sborsare soldi per le spese di spedizione, e peggio ancora si sente quando bisogna pagare per il reso.
Secondo un sondaggio svolto negli USA, il 77% degli acquirenti controlla la politica di reso prima di effettuare un qualsiasi acquisto online. E, sempre secondo quest’analisi condotta da GoDaddy, quasi un terzo del totale, cioè il 30% dei consumatori, ha ammesso che avverte il pagare la spedizione di reso come un’esperienza estremamente fastidiosa.
Le spese per la spedizione del reso sono un tema controverso nell’e-commerce. Secondo l’articolo 67 del Codice del Consumo, le spese di restituzione sono in genere a carico del consumatore. Ciò a meno che il venditore non si sia obbligato a sostenerle o non abbia omesso di informare che tali costi sono a suo carico.
E così, molti venditori online non rimborsano le spese di restituzione, mettendo in conto al consumatore un onere accessorio avvertito come odioso. Fanno eccezione alcune grandi piattaforme di e-commerce che da tempo offrono la restituzione gratuita come vantaggio competitivo per attirare più clienti. E funziona.
Spese di reso: l’odioso esborso che rallenta gli acquisti online
A livello globale si nota comunque un trend opposto. Molti store sono diventati più aggressivi nell’applicare tariffe elevate per i resi. La commissione media aggiuntiva nell’area UE è di poco inferiore ai 3 euro. Negli Stati Uniti è addirittura intorno ai 7 dollari. Addebitare costi per i resi sembra una politica destinata a far crollare drasticamente le vendite.
Eppure molti venditori applicano tali costi per scoraggiare la restituzione. E, in effetti, ci riescono. Alla base c’è un problema oggettivo: per gli store e i negozi, specie quelli più piccoli, costa parecchio far viaggiare avanti e indietro la merce. Pure i giganti soffrono la situazione. Ed ecco perché giganti dell’e-commerce come Amazon e Target preferiscono che gli acquirenti conservino il prodotto da rendere pur offrendo loro un rimborso economico del 100%. Secondo alcune stime a livello globale, infatti, con l’esplosione dell’e-commerce e delle vendite online durante e dopo la pandemia, il numero di resi è diventato ingestibile. Il un tasso di reso è vicino al 18%.
Si parla dunque di centinaia di miliardi di euro di merce acquistata online restituita. E provvedere a un reso può costare ai rivenditori fino al 30% del prezzo originale di un articolo. Per questo, visto che i consumatori si sono fatti più furbi e smaliziati negli acquisti online, le politiche di reso continueranno verosimilmente a inasprirsi.