Spread schizza a 320 punti, tasso oltre il 3%, ai massimi da giugno 2014 Spread schizza a 320 punti, tasso oltre il 3%, ai massimi da giugno 2014

Spread schizza a 320 punti, tasso oltre il 3%, ai massimi da giugno 2014

Spread schizza a 320 punti, tasso oltre il 3%, ai massimi da giugno 2014
Spread schizza a 320 punti, tasso oltre il 3%, ai massimi da giugno 2014

ROMA – Non si arresta la corsa dello spread. Nel giro di pochi minuti il differenziale tra Btp e Bund decennali è schizzato a 300 punti base. [App di Blitzquotidiano, gratis, clicca qui,- Ladyblitz clicca qui –Cronaca Oggi, App on Google Play] Per avere un’idea dell’ultima ora, osserviamo la sua corsa seguendo il film della mattinata attraverso il rimpallo delle agenzie Ansa. Il tasso di rendimento dei titoli italiani ha superato il 3%, prima di tornare a 2,65), ai massimi da giugno del 2014.

Alle 10 e mezza lo spread ricomincia ancora a correre e tocca i 320 punti base, con un tasso di rendimento al 3,4%, per poi riassestarsi sui 310 punti. Il differenziale sui titoli biennali sfiora invece 300 punti con un rendimento superiore al 2%.

Ricordiamo che lo spread, il differenziale tra il rendimento del Btp a dieci anni e il corrispondente bund tedesco, misura il rischio Paese, più salgono i punti più cala la sua affidabilità. E superata la soglia psicologica tra 200 e 250 punti, la traiettoria della fiducia sull’Italia è pericolosamente indirizzata su un piano inclinato, con la speculazione internazionale che ha messo nel mirino il debito italiano da cui fugge spaventata dalla crisi politica e istituzionale.

Quando lo «spread» sale significa che – a parità di tassi ufficiali fissati dalla Bce per tutti – un Paese è costretto a pagare interessi sul debito più elevati rispetto alla Germania. Perché gli investitori lo considerano meno affidabile. Il problema, a prima vista, sembrerebbe riguardare solo lo Stato. Ma non è così. A soffrire di più sono invece le imprese. Se sale lo «spread» sui titoli di Stato, crescono infatti anche i tassi d’interesse che le banche devono pagare per reperire finanziamenti sui mercati. E se le banche sono costrette a pagare tassi più elevati (in maniera anomala), a loro volta girano questi costi sui nuovi prestiti alla clientela. È così che lo «spread» nasce nella grande finanza, ma finisce sulla pelle degli italiani. (Morya Longo, Il Sole 24 Ore)

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