Pur avendo diritto a una percentuale sul TFR dell’ex coniuge, il divorziato deve mettere in conto forti riduzioni.
La legge italiana si preoccupa di disciplinare le modalità attraverso cui il trattamento di fine rapporto (meglio noto come TFR) può essere trasferito o ereditato dall’avente diritto ai congiunti. Il TFR è la somma di denaro che il datore di lavoro deve corrispondere al dipendente al termine del rapporto di lavoro sotto forma liquidazione o buonuscita.
Un “premio” che spetta indipendentemente dalla causa della cessazione, (cioè per dimissioni, licenziamento, pensionamento, eccetera) e che, in qualità di diritto acquisito, può finire nell’asse ereditario o può essere parzialmente ceduto all’ex coniuge in caso di divorzio.
L’articolo 2122 del Codice Civile stabilisce che, in caso di morte del lavoratore, il TFR debba essere corrisposto al coniuge e ai figli. E anche ai parenti entro il terzo grado e agli affini entro il secondo grado, se questi vivevano a carico del lavoratore. Nessun dubbio quindi sul fatto che coniuge e figli possono ottenere quote sul TFR sotto forma di eredità.
Ma cosa succede se un coniuge è un ex coniuge? Il trattamento è considerato un bene da dividere in sede di divorzio? La legge italiana chiarisce attraverso l’articolo 12-bis della Legge 1 dicembre 1970, n. 898, (la norma conosciuta come Legge sul Divorzio) come funziona l’attribuzione della quota del trattamento di fine rapporto spettante all’ex.
Per la normativa vigente, il TFT spetta anche al coniuge divorziato. La disciplina afferma infatti che questo diritto debba essere concesso all’ex nella misura del 40% dell’ammontare, ma solo proporzionalmente agli anni di matrimonio. L’ex gode dunque di una percentuale stabilita sul trattamento solo per quella parte in cui il rapporto di lavoro è coinciso con gli anni di durata del matrimonio. Per sapere quanto spetta si deve giocoforza affrontare un calcolo in percentuale proporzionale.
Il separato, a differenza del divorziato, non ha diritto a una percentuale del TFR dell’ex coniuge. Dopodiché, al di là del limite rappresentato dalla quota del 40% del TFR totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio, bisogna anche aggiungere che tale diritto sorge solo se il coniuge divorziato non si è risposato e se è titolare di un assegno divorzile.
Riguardo alla tempistica, non bisogna però muoversi prima del divorzio né c’è bisogno che la buonuscita sia stata versata negli anni del matrimonio. Il diritto alla quota di TFR può essere richiesto anche se l’indennità viene matura dopo la sentenza di divorzio.
Chi sta divorziando dal proprio coniuge potrebbe infatti temere di perdere il diritto alla quota del TFR del partner se il trattamento in oggetto non è stato ancora liquidato prima del divorzio ufficiale. Il divorziato non può infatti ottenere l’attribuzione di una quota sull’indennità dell’ex che sta ancora progressivamente maturando e che non è ancora stata liquidata. Tuttavia questo diritto può esprimersi per legge in un secondo momento, ovvero quando il lavoratore otterrà il TFR.
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