ROMA – Fino a 4 mila euro annui in meno per un impiegato statale. Stipendi che si lasciano per strada il 10%a causa degli scatti mancati. E’ l’effetto del decreto di Economia e Funzione pubblica che prolunga per tutto il 2013-2014 il congelamento di contratti e stipendi nel pubblico impiego. Il nuovo provvedimento dovrebbe bloccare anche l’indennità di vacanza contrattuale e il tutto, unito al primo blocco triennale vissuto nel 2010-2012 costerà in termini di mancati aumenti quasi il 10% dello stipendio.
E quindi per un impiegato significa avere fino a 4mila euro in meno all’anno. Gli effetti si faranno sentire anche sulle pensioni, soprattutto per chi uscirà dal lavoro nei prossimi anni e si vedrà alleggerito l’assegno di una somma non troppo inferiore a quella persa nello stipendio (circa l’80%).
Tutto è cominciato con la legge di stabilità varata dal governo Monti che comprendeva infatti la proroga fino al 2014 del congelamento degli stipendi, ma lasciava perlomeno intendere che nel 2013-2014 fosse prevista l’indennità di vacanza contrattuale. E invece, salvo cambiamenti della bozza all’ultimo momento, l’indennità contrattuale scatterà solo dal 2015-2016. Contratti e stipendi di una platea da quasi quattro milioni di persone, che ai dipendenti della Pubblica amministrazione unisce quelli delle società in house e degli enti strumentali.
Il “sacrificio” è ovviamente proporzionale allo stipendio che ogni profilo di dipendente pubblico aveva all’inizio del congelamento, ed è calcolato su un doppio indicatore.
Il Sole 24 Ore spiega come:
Per la prima tornata contrattuale saltata, quella del 2010-2012, il taglio è misurato sulla base delle risorse che erano state messe a disposizione dei vecchi rinnovi, mentre per il nuovo congelamento biennale il punto di riferimento è l’Ipca, l’indice armonizzato dei prezzi al consumo che esclude i prodotti energetici importati e offre il punto di riferimento di tutti i nuovi contratti biennali. Risultato: nei cinque anni “congelati” gli statali e i loro colleghi delle Pubbliche amministrazioni territoriali hanno rinunciato in termini di mancati aumenti a circa il 9,2% dello stipendio. Un dato che, soprattutto per il 2013-2014 visti i meccanismi di calcolo, tende a coincidere con la perdita di potere d’acquisto causata dall’inflazione.
Tradotto in cifre, significa 2.575 euro all’anno a regime in meno per gli impiegati degli enti locali, che con il loro stipendio medio inferiore ai 28mila euro lordi annui sono sul gradino più basso della categoria. Per i loro colleghi di Palazzo Chigi, che di euro ne guadagnano in media quasi 43mila, la tagliola vale a regime poco meno di 4mila euro, e le cifre crescono ovviamente man mano che si sale la scala gerarchica delle amministrazioni. Per chi sta in cima, e ha stipendi superiori ai 90mila euro lordi annui, in realtà il conto avrebbe dovuto essere ben più salato, a causa del contributo di solidarietà che chiedeva il 5% della quota di stipendio superiore ai 90mila euro e il 10% di quella sopra i 150mila. Il meccanismo, però, è caduto sotto i colpi della Corte costituzionale, e quindi è uscito dal conto.
Il sacrificio è permanente, perché le norme escludono espressamente ogni possibilità di recupero di quanto perso alla ripresa dei rinnovi. Ma a rendere “eterna” la sforbiciata sono anche i suoi effetti sugli assegni previdenziali, in particolare per chi va in pensione in questi anni: chi si avvicina all’uscita oggi ha circa la metà della pensione calcolata con il sistema retributivo, e sconterà sull’assegno circa l’80% del costo complessivo del blocco. In altri termini, chi ha “perso” 7mila euro come mancati aumenti e andrà in pensione nel 2014-15 riceverà una pensione più leggera di circa 5.500 euro annui rispetto a quella che avrebbe ottenuto in tempi normali.
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