Stipendi e pensioni e forse consumi tagliati del 5 per cento. Così è vivere con l’inflazione

Signora mia al giorno d’oggi aumenta tutto…E’ stato per un paio di decenni il lamento standard, ci si costruivano sopra contratti di lavoro e barzellette, debiti pubblici e risparmi privati (il popolo dei Bot…). Il carovita era un must della conversazione minima, più o meno come il tempo che fa. Poi per quasi un altro paio di decenni “l’aumenta tutto” si è attenuato e, se non è sparito, non è stato più percepito come una condizione d’affanno quotidiano.

Dopo l’abbuffata di aumento dei prezzi organizzata intorno al change money (lira-euro) da chi i prezzi li faceva, dopo l’enorme trasferimento di ricchezza di inizio millennio dai redditi di lavoro e profitto ai redditi da intermediazione e commercio, la società italiana si è abituata al low cost piuttosto che la carovita. Ed è quindi impreparata al fatto che quel “al giorno d’oggi” sia di nuovo proprio oggi.

Inflazione gennaio 4,8 per cento

Alla stima finale di febbraio sarà sicuramente cinque per cento e forse più. Ciascun bilancio familiare ha la sua percentuale di inflazione da subire. Dipende dalla struttura dei consumi e quindi dai relativi costi. E poi quel cinque per cento è una corretta media statistica, ma appunto una media che spesso può sembrare edulcorata al ribasso se la bolletta della luce ti aumenta del 30 per cento e il pacco di pasta del 10 per cento. Ma, potete star sicuri, cinque per cento se dura tutto il 2022 non è per niente poco.

Vivere con l’inflazione

Vivere un anno con l’inflazione vuol dire pari pari che un salario, uno stipendio, una pensione per definizione reddito fissi o che poco possono muoversi in velocità verso l’alto, valgono, sono di fatto tagliati del cinque per cento. I redditi fissi pagano tutto e subito. I redditi da impresa e da lavoro autonomo per un po’ (un po’ di tempo e quantità) scaricano l’aumento dei prezzi che sostengono in aumento dei prezzi che praticano. A qualcuno, non pochi tra esercenti e commercianti) appare anzi una buona idea cogliere l’occasione per arrotondare e e vendere magari al 10 per cento in più ciò che gli è costato il 5 per cento in più produrre o acquistare. Poi però anche i redditi da intermediazione, filiera, servizi e commercio rischiano e pagano perché di una percentuale in qualche misura corrispondente al tasso di inflazione possono calare i consumi.

La merce denaro

Quando c’è inflazione, tanto più c’è inflazione tanto la merce denaro si deprezza in termini di potere d’acquisto. Deprezzamento che va rallentato rendendo la merce denaro meno disponibile sul mercato finanziario. E questo si fa alzando il prezzo del comprare denaro, cioè alzando i tassi di interesse da pagare sul denaro prestato. Esempio classico e massiccio i mutui. Vivere con l’inflazione vuol dire vivere con mutui che costano di più.

Il risparmio

Gli italiani hanno cumulato nei conti correnti bancari vagonate, anzi interi convogli di miliardi. Anche e soprattutto durante il 2020/2021. Quasi duemila miliardi che nei conti correnti della famiglie non fanno risparmi ma di fatto fanno spesa senza acquisire nulla: quei conti correnti pagano la tassa del tasso di inflazione, con inflazione stabile al 5% valgono di fatto il 5% di meno. Ma l’inflazione non fa solo questo ai risparmi, fa loro cambiare strada. Un paio di generazioni di italiani ha risparmiato in Bot, in titoli di Stato. Negli anni hanno reso anche il 10/15% per cento di interessi (inflazione viaggiava al 15/20 per cento) e quindi famiglie risparmiavano nella forma di acquisto di obbligazioni di Stato.

Dalla crisi del 2008, o meglio dalle sue conseguenze tra cui la creazione di denaro da parte di governi e Banche centrali al fine di non ritrovarsi con un altro 1929 nelle fabbriche e nelle strade, le obbligazioni di Stato hanno cominciato a pagare in tassi di interesse sempre meno, fino allo zero o giù di lì degli anni della seconda obbligata mastodontica creazione di denaro da parte di Stati e Banche centrali (i sostegni e sussidi pubblici nel biennio della pandemia). E quindi il popolo dei Bot è svanito ed è diventato in parte popolo dei conti correnti e in parte popolo del risparmio in Fondi di investimento. Inflazione sostenuta e prolungata riorienterebbe il risparmio privato verso il prestare soldi allo Stato, verso le obbligazioni finanziarie e non verso il risparmio investito. Non proprio ottima cosa al tempo in cui il risparmio privato in Italia sarebbe chiamato ad essere, con i miliardi del Pnrr, l’altra gamba degli investimenti.

Inflazione, non la fanno e non la disfanno governi, partiti ed elettori

L’inflazione, viverci e conviverci significherà anche un altro gigantesco equivoco politico e di opinione pubblica, un equivoco di pronto successo. L’inflazione non la decide, non è nella disponibilità, nei poteri di un governo o di un Parlamento. Non è che si può fare una legge che abolisce i dichiara fuori legge l’inflazione. Tanto meno inflazione sì o no è nella disponibilità dei partiti. Men che meno in quella degli elettori che dovessero andare a votare esigendo stop aumento prezzi e premiando chi la promette subito, basta che sia eletto.

Governi e sistema politico amministrativo, partiti politici e soggetti sociali possono avere (o non avere) sì una politica economica che in tempi medio-lunghi orienti e costruisca argine entro i quali far scorrere il fenomeno dell’inflazione. Ma nessun governo nella storia del pianeta, nessun partito o leader, nessuna volontà popolar comunque espressa potrà mai distribuire 5.000 miliardi di dollari di aiuti pubblici senza contribuire a creare inflazione al 7% (è il caso degli Usa). Si può votare e volere e promettere e garantire all’unanimità che il fuoco scalda sempre e non brucia mai. Non per questo succede, proprio mai.

Gestione cookie