L’INPS parla di una situazione ormai insostenibile, ed è ormai chiaro che le pensioni anticipate non attraggono più i lavoratori.
Per lo Stato, almeno a lungo termine, la soluzione più sostenibile è quella di incentivare il pensionamento anticipato, specie in una situazione come quella attuale, dove il sistema pensionistico è sotto pressione a causa di un alto numero di pensionati a fronte di pochi lavoratori in grado di versare contributi. Il fine è quello di distribuire il carico finanziario su un periodo più dilatato, riducendo così il picco di spesa in un determinato momento e rendendo più gestibile il bilancio pensionistico.
Ma i dati dicono che c’è stato una brusca frenata alle pensioni anticipate, prima con Quota 102 e poi Quota 103. Come riportato da Il Sole 24Ore, dal 2019, oltre 435.000 lavoratori sono andati in pensione sfruttando il canale di uscita anticipato (Quota 100). Ma nel 2023 i numeri sono calati enormemente: solo 23.000 soggetti circa hanno aderito a Quota 103 per andare in pensione con almeno 62 anni di età e 41 anni di contributi.
L’esame delle deroghe alla legge Fornero compiute a maggio scorso dalla ragioneria dello Stato ha dunque mostrato che tutte le modifiche fatte alla forma originale della riforma (attuata dal Governo Monti) sono state recepite male dai lavoratori e hanno fatto male alle casse del Paese. Le varie deroghe analizzate hanno insomma avuto un pessimo impatto sulla spesa pensionistica. Si parla di un aumento della spesa di quasi 70 miliardi di euro, tra il 2019 e il 2024
70 miliardi in più, in soli sei anni. E per l’INPS la situazione è insostenibile. Anche la Ragioneria di Stato (che nei giorni scorsi ha visto le dimissioni del capo Biagio Mazzotta e la nomina di Daria Perrotta, su precisa indicazione della premier Giorgia Meloni) sembra preoccupata. E poi c’è l’UE, che continua a monitorare con evidente angoscia lo stato sempre più precario e sofferente del sistema previdenziale italiano.
Negli ultimi anni, la spesa pensionistica in Italia ha evidenziato un trend di crescita. Nel 2021, i costi per le pensioni sono arrivati a circa 313 miliardi di euro, con un aumento di 1,7 punti percentuali rispetto al 2020. Un incremento in parte dipeso dalla contrazione del PIL causata dalla pandemia. In più, anche il rapporto tra pensionati e lavoratori è stato influenzato dal Covid: i numeri dicono che nel 2021 per ogni 1.000 lavoratori c’erano 714 pensionati.
Secondo quanto analizzato dalla Ragioneria di Stato, la maggior parte della spesa pensionistica negli ultimi anni è stata destinata alle pensioni di vecchiaia e anzianità. Simili prestazioni rappresentano oggi più o meno il 72,6% del totale. Pochi dunque scelgono di aderire alle forme di pensionamento anticipato. C’è chi parla di disfatta o di clamoroso stop. Con la soglia anagrafica per raggiungere la pensione che va su, sempre più su, e l’assegno che scende senza sosta.
Secondo gli ultimi calcoli, nel 2070 si lascerà il lavoro due anni dopo rispetto al 2010, quindi a 69 anni. E lo si farà con un importo ridotto almeno del 25%. La cura delle misure di uscita anticipata non funzionano. Le persone appaiono insomma riluttanti a usufruire delle pensioni anticipate capendo che, in un modo o nell’altro, comportano una riduzione dell’importo mensile rispetto a quelle di vecchiaia. Inoltre, i criteri per accedere a questi canali di uscita sembrano sempre più stingenti e complessi.
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