Supereuro blocca export e ripresa: perché serve svalutare, perché non si può

Supereuro blocca export e ripresa: perché serve svalutare, perché non si può
Supereuro blocca export e ripresa: perché serve svalutare, perché non si può

ROMA – Supereuro blocca export e ripresa: perché serve svalutare, perché non si può. Fatturato e ordinativi confermano la battuta d’arresto dell’industria nel mese di maggio. D’altra parte la caduta della produzione non lasciava presagire nulla di buono anche per ricavi e commesse. Stavolta quindi i ribassi non sono inaspettati, anzi sul fronte delle vendite poteva anche andare peggio. L’Istat ha registrato un calo su base mensile (-1,0%), ma rispetto allo scorso anno il fatturato tiene (+0,1%). La zavorra stavolta però non coincide con il mercato interno, minato da una domanda debole: la performance peggiore spetta all’estero, segno di un export che fatica.

Tutta colpa del supereuro sostiene all’unisono un coro di economisti e manager. Il cambio euro dollaro è oggi stabilmente attorno a 1,35, ben sopra la media storica dalla nascita della moneta unica di 1,22 (a 1,18 si stima il cambio ottimale per le esportazioni). La richiesta generale è “svalutiamo l’euro”, anche  il tasso di cambio non è un obiettivo della politica monetaria della Bce (ma l’euro forte determina una riduzione dello 0,5% dell’inflazione, ha ammesso il vice presidente della Bce Vitor Constancio intervistato da Bloomberg). Che fare, allora, si chiede Alessandro Barbera su La Stampa? Secondo l’economista Paolo Savona

Poiché la domanda interna non riparte, ora si scopre l’importanza di quella estera. Ma la Bce negli anni ha teorizzato l’euro forte e oggi non ha gli strumenti che altre banche centrali hanno per muovere il cambio. Io una idea su cosa fare ce l’avrei: poiché non credo che i tedeschi accetterebbero mai una modifica delle regole, meglio sarebbe dotarsi di un fondo sovrano europeo e fargli comprare molti dollari. Io resto fedele alla lezione di Paolo Baffi: fra l’impulso monetario attraverso le banche e una manovra sul cambio preferirei di gran lunga la seconda. (La Stampa)

Sollecitato sul tema, Fabrizio Guelpa dell’ufficio studi di Intesa Sanpaolo analizza due dati

Per avere un impatto significativo sull’economia italiana – intendo dell’ordine di un punto percentuale – il cambio dovrebbe scendere ad un livello oggi fantascientifico, attorno a 1,10. Con un valore attorno alla media storica – circa 1,20 – si può ipotizzare un beneficio di mezzo punto di Pil. (La Stampa)

Per l’ex ministro Renato Brunetta, la soluzione va trovata mettendo i tedeschi di fronte alle loro responsabilità per l’eccesso dio export

Sarebbe sufficiente costringerli a rispettare i patti. L’euro forte è il prodotto dell’enorme surplus della bilancia commerciale tedesca. Se la Germania rispettasse le indicazioni della Commissione europea e spingesse per un aumento della sua domanda interna, questo comporterebbe automaticamente una crescita dell’inflazione in tutta l’area e un calo del cambio. 

Come al solito sotto accusa è la Germania che, producendo tenendo d’occhio prima la qualità che i prezzi, non si cura dell’euro forte (e anzi rifiuta svalutazioni per l’antico riflesso condizionato del terrore dell’inflazione). I danni maggiori li subisce chi esporta negli Usa e chi opera nei settori tradizionali di alimentare e turismo, vedi la Francia. Secondo l’economista e editorialista del Sole 24 Ore Alberto Quadro Curzio è inutile coltivare illusioni

Con tassi così bassi per far scendere in modo significativo il livello del cambio ci vorrebbero soluzioni eterodosse che oggi non vedo possibili né per la Banca centrale, né tantomeno per Consiglio e Commissione europea. (La Stampa)

 

 

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