L’Irap resta, la ripresa c’è ma non si vede. Il governo è fermo ma l’Italia si fida

Pubblicato il 29 Ottobre 2009 - 16:35 OLTRE 6 MESI FA

Il viceministro all'Economia Giuseppe Vegas

«A malincuore», ma il governo dirà no in Parlamento a chi chiede di tagliare subito l’Irap. Richiesta-promessa che era venuta da Berlusconi e dal Pdl. Motivo del No? La “copertura finanziaria”, spiega il sottosegretario Giuseppe Vegas. cioè i soldi che non ci sono. Quelli dello scudo fiscale devono ancora arrivare e arriveranno una volta sola: non si può quindi tagliare una tassa, ovviamente per sempre, con i soldi di una “una tantum”. E poi i miliardi dello scudo, quattro o sei che siano, sono già abbondantemente prenotati dalle spese per l’università, i contratti pubblici, le Forze dell’Ordine, gli alluvionati…

Eppure Silvio Berlusconi, poi confortato dai dati giunti dal Pil usa in aumento, annuncia che la «ripresa è partita». Sarà la ripresa economica a tagliare le tasse? Non proprio, non direttamente. Ma un aumento della ricchezza nazionale prodotta potrebbe, a spesa pubblica invariata, diminuire proporzionalmente il deficit e il debito, consentendo quindi una limatura della pressione fiscale senza doverla pagare, letteralmente con gli interessi, sotto forma di maggiori interessi da pagare appunto sul debito. Può succedere, se succede succede però, se va bene, tra un anno o due. Confindustria ha calcolato che molte imprese non hanno questo tempo per aspettare.

Tempo che può essere, alla vista e al giudizio dei mercati, abbreviato se il governo di Roma, mentre taglia le tasse, annuncia con i fatti e non con le parole che spenderà di meno. Tradotto, all’idea che si spenderanno 20 miliardi di meno nella Pubblica Amministrazione, tesi cara a molti nel Pdl, non ci crede nessuno. Credibile sarebbe invece un innalzamento per legge dell’effettiva età pensionabile. I risparmi di spesa che ne derivano arriverebbero dopo il taglio delle tasse ma sarebbero sicuri.

In questo “stallo” sta e ristagna tutta l’azione di governo. La riforma dell’Università presentata dalla Gelmini ad esempio. Ottimi principi: soldi a chi fa ricerca, niente soldi a chi produce nulla. E poi gestione degli Atenei sottratta alle baronie con Consigli di Amministrazione composti al 40 per cento da esterni. E poi verifica del lavoro reale dei docenti… Solo una miopia conservatrice di sindacati, studenti, docenti e di parte della sinistra può non vedere il giusto indirizzo della riforma. Però la riforma dell’Università non ha un euro, è orfana di fondi.

E allora, se le tasse non calano e non c’è un euro, come mai il governo non soffre decisi cali di consenso? Perchè l’Italia è così fatta, nella testa e nel portafoglio: il 78 per cento pensa che la crisi sia grave, il 57 per cento non si aspetta si risolva in meno di tre anni. Però il 54 per cento è “soddisfatto” della sua personale e familiare condizione economica e il 37 per cento risparmia parte di quello che guadagna o incassa. C’è, è vero, un 25 per cento che spende per sopravvivere più di quello che guadagna. Tanti, ma meno di quelli che ce la fanno.

Questa condizione di paese “grasso” fa sì che gli italiani, anche se l’Italia il grasso se lo sta mangiando, siano favorevoli ad una proposta e un messaggio politici come quello berlusconiano che è di conservazione dell’esistente. Il rischio delle riforme della spesa pubblica, o previdenziale, o fiscale, o delle professioni, o dell’istruzione o di qualsiasi altro consolidato assetto appare non tollerabile e viene respinto. Quindi le tasse non calano nonostante le promesse, la ripresa c’è ma non si vede, il governo è fermo ma questo non preoccupa. Sembrano contraddizioni e invece sono dati di fatto con una loro reciproca armonia.