ROMA – In Italia paghiamo una tassa in più: è quella della corruzione. Mazzette e favori fanno lievitare del 40% il costo dei lavori pubblici. Traduzione: paghiamo 70 miliardi di euro per lavori che ne valgono 50. Conseguenza: la corruzione costa ai contribuenti (cioè a noi) 60 miliardi di euro ogni anno. Motivo sufficiente per poter parlare di “tassa”.
Secondo la Corte dei Conti, che ha lanciato l’allarme, “i costi sono immediati o diretti, costituiti dall’incremento della spesa dell’intervento pubblico: c’è una lievitazione dei costi strisciante e una lievitazione straordinaria che colpisce i costi delle grandi opere, calcolata intorno al 40%”.
Ma il discorso non finisce alle grandi opere, perché il “costo” della corruzione scoraggia anche gli investitori stranieri. Il procuratore generale Salvatore Nottola ha osservato che “il danno indiretto, e forse più grave, è quello inferto all’economia nazionale, perché la corruzione allontana le imprese dagli investimenti: è stato calcolato che ogni punto di discesa nella classifica di percezione della corruzione (sembra che l’Italia attualmente sia al 69mo posto su 182) provoca la perdita del 16% degli investimenti dall’estero”.
Nottola ha spiegato perché la Corte dei Conti ha così a cuore lo studio del malcostume italico: “L’interesse per il fenomeno corruttivo è dato dagli ingiusti costi che esso provoca all’economia e dalla necessità di individuazione dei possibili rimedi sia per la prevenzione si per la reintegrazione del patrimonio”.