Tasse record in Italia: 44% del Pil, quarti in Europa. Politica fiscale fallita

Pubblicato il 6 Luglio 2013 - 11:33 OLTRE 6 MESI FA
Tasse record in Italia: 44% del Pil, quarti in Europa, in salita

Fabrizio Saccomanni: a lui la grana del fisco

Il peso del Fisco in Italia è sempre più grave: siamo i quarti in Europa (su 17) con un tax rate (incidenza del prelievo del Fisco sul Pil) che è stato al 44% nel 2012, dal 42,6 del 2011.

Lo sapevamo da soli, ma leggerlo nero su bianco nel bollettino della Banca d’Italia fa male al cuore.

Che poi spremere gli italiani come limoni sia la strada giusta, può apparire tale solo ai burocrati che ci tengono sotto. La risposta dei numeri è diversa: l’aumento del peso del Fisco ha portato al calo del consumi e al conseguente crollo dell’Iva e all’aumento contemporaneo delle richieste di indennità di disoccupazione.

Se questo era l’obiettivo di Mario Monti quando, mettendosi alla guida di uno dei peggiori Governi della Repubblica, tale da fare rimpiangere a molti perfino Berlusconi, promise, con un ghigno da brividi: “Cambierò gli italiani“, non c’è che dire: missione compiuta, colpiti e affondati.

 “Con il peso del fisco passato dal 42,6% del 2011 al 44% del Pil nel 2012, ci comunica la Banca d’Italia, il nostro Paese «sale» dal quinto al quarto posto tra i Paesi dell’Eurozona e dalla settima alla sesta posizione nel complesso dei 28 Paesi Ue. E nello stesso giorno l’Istat fa sapere che i consumi hanno avuto, nel 2012, la caduta più forte dal 1997: la spesa media delle famiglie italiane è crollata. Altro primato poco lusinghiero nel campo del lavoro: in aumento le richieste di indennità di disoccupazione”,

è la amara sintesi di Valentina Santarpia sul Corriere della Sera:

“Macigno delle tasse”.

Cronaca quasi nera di questa dolorosa ricorsa:

“L’Italia scavalca la Finlandia e si piazza al quarto posto tra i 17 Paesi dell’euro: il fisco è più pesante solo in Belgio (47,1%), Francia (46,9%), Austria (44,2%). Guardando più complessivamente all’Unione Europea, ci superano per imponenza del carico fiscale Paesi dove si pagano molte tasse ma è anche molto più ampio il welfare , come Danimarca (49,3%) e Svezia (44,6%). In Italia poi c’è anche la spesa che sale insieme alle tasse: nel 2012 è passata al 50,7% del Pil dal 50% del 2011, «colpa» del debito pubblico, che pesa per una parte importante. Eppure le entrate nelle casse dello Stato non migliorano: nei primi cinque mesi del 2013, comunica il Dipartimento delle finanze del Mef, le entrate erariali ammontano a 149.117 milioni, -0,2% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Al solito, ad aumentare sono le imposte dirette, come il gettito Irpef (+1,4%), mentre a scendere sono le indirette, come il gettito Iva (-6,8%). Il «pagare tutti per pagare meno» invocato dal direttore dell’Agenzia delle entrate Attilio Befera sembra lontano”.

Fa eco Rossella Bocciarelli sul Sole 24 Ore:

“Diventa urgente e vitale cambiare rapidamente il mix della politica di bilancio, usando al meglio i tagli di spesa pubblica derivanti dalla spending review per creare lo spazio fiscale necessario ad abbassare in primo luogo quelle tasse che pesano maggiormente sullo sviluppo.

“La pressione fiscale arriverà nel 2015 al 44,1 per cento, sostanzialmente invariata rispetto al livello del 2012. Per la spesa primaria vi è invece la previsione di una riduzione di 1,5 punti di Pil, dal 45,6 del 2012 al 44,1 per cento del 2015: sono valori che dovrebbero generare un avanzo primario crescente (4,1 per cento nel 2015 dal 2,5 del 2012). Ma intanto, il debito pubblico continuerà a salire il prossimo anno.

“Come ha detto il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco: «Riduzioni di imposte, necessarie nel medio termine, pianificabili fin d’ora, non possono che essere selettive, privilegiando il lavoro e la produzione: il cuneo fiscale che grava sul lavoro frena l’occupazione e l’attività d’impresa»”.

Ma sono proprio le imprese quelle che soffrono ancor più della pressione fiscale. Sempre il Sole 24 Ore ne lamenta il

“peso schiacciante. Insopportabile, soprattutto in un periodo di crisi economica”.

E elabora:

“Un’impresa di medie dimensioni paga in Italia quasi 70 euro tra tasse e contributi su 100 euro di utile. In pratica significa che l’Erario è di gran lunga l’azionista di maggioranza. Un prelievo del 68,3% non ha paragoni nei Paesi direttamente concorrenti con l’Italia.

“Tanto per farsi un’idea in Germania la quota è del 46,8%, nel Regno Unito è del 35,5% mentre in Irlanda è del 26,4 per cento.

“Se poi al dato sul total tax rate si aggiunge anche il numero di versamenti (15) a cui sono chiamate le imprese italiane e il numero di ore (269) che gli adempimenti richiedono ogni anno, si capisce come il capitolo fisco e contributi rappresenti un deterrente a investire nel nostro Paese”.