ROMA – Tfr in busta paga: non ci perdi fino a 15mila euro. Fino a 29mila solo 50 euro. Conviene o non conviene aderire all’opportunità di trasferire, per un periodo di tre anni, il pezzo di liquidazione maturata direttamente in busta paga? Leggendo bene la bozza che illustra la legge di Stabilità e con l’aiuto della Fondazione Consulenti Lavoro (leggi qui la tabella degli aumenti secondo gli scaglioni di reddito), si può affermare che fino a 15mila euro non ci si rimette. Dal momento che la scelta è su base volontaria, fino a 15mila euro di reddito, vedersi accreditato un pezzo di liquidazione è a costo zero. Perché l’aliquota applicata sarà uguale a quella che si applica alla fine del rapporto di lavoro: 23%.
Le cose cambiano per i redditi di importo superiore. Per dire, da 20mila euro a 28650 euro annui il Fisco si mangia all’anno 50 euro (che diventano 166 euro nell’arco di tempo marzo 2015-giugno 2018). Progressivamente la tassazione aumenta, perché cresce l’aliquota marginale: a 90mila euro l’anno si perdono 569 euro annui (1895 euro totali). Questo dipende dal fatto (specificato all’articolo 6 comma 1 della bozza che circola) che l’anticipo di Tfr (in quanto componente aggiuntiva di reddito) è “assoggettato a tassazione ordinaria e non imponibile ai fini previdenziali”. Cioè aumenta l’imponibile ai fini Irpef, non aumenta l’imponibile dei contributi.
Ci si domanda, giustamente, non è che la maggiorazione in questi tre anni del mio reddito con l’anticipo del Tfr mi fa perdere le agevolazioni fiscali tipo la retta che insistono sulla retta dell’asilo nido, della mensa, dell’università o magari rischio di non prendere più il bonus da 80 euro? Il comma 2 dell’articolo 6 ci dovrebbe lasciare tranquilli: “ai soli fini della verifica dei limiti di reddito complessivo (…) non si tiene conto delle somme erogate a titolo di parte integrativa della retribuzione”. L’Isee (quello che calcola quanto guadagni e fornisce i criteri di assegnazione di questo o quello sconto fiscale) non cresce.