Tfr (liquidazione) 40% alla moglie divorziata. E’ la legge di sempre. Da rifare

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Tfr va dato anche alla moglie divorziata. Anche dopo 10 anni (foto d’archivio Ansa)

ROMA – Tfr (liquidazione) 40% alla moglie divorziata. Appare d’improvviso in un contenzioso giudiziario tra due ex coniugi. Appare perché l’ex marito voleva, provava a non pagare quel 40 per cento sostenendo che liquidazione non fosse, non fosse Tfr (trattamento di fine rapporto) quel che aveva a suo tempo percepito e sul quale la ex moglie reclamava parte spettante.

Appare solo per questo, per il tentativo dell’ex marito andato a male. Ma una comunicazione tanto totale e istantanea quanto immemore di tutto e consapevole di nulla annuncia che il 40 per cento del Tfr va alla moglie divorziata come fosse una novità e come fosse una decisione-scelta innovativa della magistratura.

L’effetto è straniante assai per chiunque, in carne ed ossa, abbia avuto contatti con la vita reale in materia di matrimoni, separazioni, divorzi. O per esperienza diretta o per esperienza vissuta da amici e/o parenti o per semplice comunicazione verbale sono milioni gli italiani che negli ultimi decenni, da quando c’è la legge, hanno divorziato.

E nella legge che regola il divorzio c’è la regola che il 40 per cento della liquidazione del lavoratore dipendente vada all’ex moglie. La regola riguarda solo il lavoratore dipendente. La ratio della disposizione deve essere quella che individua il Tfr come salario differito. E quindi, all’interno di un’economia familiare e di coppia, il salario, sia pur percepito in tempi e forma differiti, in parte spetta al coniuge economicamente più debole dopo il divorzio. Ancor più semplicemente, se c’è assegno di mantenimento all’ex coniuge, per la stessa ragione ci sarà il 40 per cento del Tfr all’ex coniuge.

E’ una regola che c’è da decenni, eppur pare la si scopra ora con sorpresa. Giusta o sbagliata che sia, la regola è nella legge sul divorzio. E risponde alla logica e alla pratica in uso e accettata da decenni secondo le quali l’ex coniuge, quasi sempre la donna, andava risarcita della perdita della condizione economica precedente.

La logica del mantenimento del tenore di vita della coppia prima del divorzio garantito da un membro della ex coppia (di solito l’uomo) all’altro membro. La logica del matrimonio come una sorta di “assunzione a tempo indeterminato” che quindi in caso di rottura del contratto va risarcita.

Questa logica imperante e dominante di fatto tra avvocati e magistrati è stata infranta e rimossa da alcune recenti Sentenze, prima tra tutte quella della Cassazione. Sentenze che hanno stabilito che non c’è diritto a risarcimenti a vita causa matrimonio interrotto. Anzi, se l’ex partner è in grado di mantenersi, ha lavoro e patrimonio e produce reddito, allora il matrimonio finisce anche finanziariamente.

Sentenze che abbattono il principio del mantenimento del tenore di vita precedente (la più recente quella tra Berlusconi e Veronica Lario) e lo sostituiscono con il principio dell’obbligo all’aiuto economico quando l’ex partner non è in grado di sostenersi economicamente. Sentenze che in buona sostanza vietano l’abbandono ma stroncano il farsi mantenere a vita.

Sentenze che stridono con parti della vigente legge sul divorzio. Sentenze che introducono principi più equi e più consoni ad una società conscia delle sue reali dinamiche. Sentenze che però impongono di rivedere e cambiare parti della legge sul divorzio per non avere in atto e in pratica schizofrenie giuridiche di cui i magistrati non sono peraltro responsabili. Poi, magari, con molta calma, i giornalisti si informeranno sulle leggi vigenti.

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