ROMA – Tfr, metà in busta paga: 55 euro in più al mese su 1500 lordi. No delle Pmi. Premesso che l’eventuale aumento arriverebbe da soldi che sono già del lavoratore, la metà della liquidazione maturanda girata subito in busta paga varrebbe mediamente 55 euro in più al mese considerando uno stipendio di 1500 euro lordi (a 2mila varrebbe come il bonus da 80 euro). La proposta del Governo Renzi per mettere più soldi in tasca ai lavoratori e quindi più carburante a una ripresa ingolfata è stata ribadita dal presidente del Consiglio alla Direzione del Pd: metà liquidazione subito in busta paga ma solo per un periodo (massimo tre anni) e solo per i dipendenti privati (e per questo dobbiamo parlare di Tfr) in un’unica tranche, cioè a fine anno come una quattordicesima (per scontare un regime fiscale più conveniente).
Varrebbe dal 1 gennaio 2015 se il Governo riuscirà a definire il progetto, a partire da un accordo tra Abi (le banche) e Confindustria. Il maggiore ostacolo riguarda le Pmi, le piccole imprese, le quali trattengono il Tfr per utilizzarlo come fonte di finanziamento. Chi li sosterrà in un un periodo come l’attuale di grande difficoltà nell’accesso al credito? E non solo: parte del Tfr complessivo finisce nelle casse delle Inps, c’è un problema di sostenibilità dei conti se questa quota viene diretta immediatamente verso il lavoratore. Spiega il quadro che si delineerebbe Alberto Brambilla, esperto di welfare ed autore della stima che fissa a 55 euro il vantaggio mensile del lavoratore (a 1500 lordi).
Oggi ogni anno gli italiani maturano Tfr per un valore di circa 25 miliardi. Di questi, 5,2 vanno ai fondi pensione. Altri 6 all’Inps. Circa 14 si fermano nelle casse delle piccole imprese. Se il premier vuole dare subito il 50% del Tfr ai lavoratori, allora si creerà un buco da 3 miliardi l’anno nelle casse dell’Inps che andrà coperto. (Rita Querzé, Corriere della Sera)
Le grandi aziende invece versano il Tfr maturando dei dipendenti in un fondo presso l’Inps gestito dal ministero dell’Economia (ci vanno appunto circa 6 miliardi l’anno). Ma il Tfr serve anche a finanziare la previdenza complementare e la sanità integrativa. Quindi, osservano uomini del Tesoro, oltre a un problema di liquidità delle imprese si creerebbe anche un problema ‘sociale’ per il futuro (visto che le pensioni con il sistema contributivo si vanno assottigliando) laddove invece andrebbe incentivata la devoluzione del Tfr alle forme di welfare integrativo.
“Per i lavoratori – ricorda il presidente di Rete Imprese Giorgio Merletti – il Tfr è salario differito, per le imprese un debito a lunga scadenza. Non si possono chiamare le imprese ad indebitarsi per sostenere i consumi dei propri dipendenti”. Peraltro, osserva, “il trasferimento di tutto il Tfr, o di una parte di esso, nelle buste paga significa azzerare la possibilità, per moltissimi lavoratori, di costruire una previdenza integrativa dignitosa”.
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