Ora è Tim, fu Telecom e Sip ed è spezzatino al supermrcato, lamenta Vincenzo Vita in questo articolo pubblicato sul Manifesto.
Come volevasi dimostrare, la cerimonia pagana dello spezzatino dell’ex monopolista delle telecomunicazioni Tim si è celebrata la scorsa domenica. Nemmeno il rispetto delle feste comandate ha frenato la bramosia autodistruttiva della società. Con la (s)vendita della rete, vale a dire l’infrastruttura storica del sistema, cui gli stessi competitori attingono per arrivare nelle abitazioni, cambia la storia.
Perdere la rete principale, dopo che quella secondaria era confluita nell’apposita struttura di FiberCop, è come mettere all’asta un prezioso bene di famiglia per pagarsi uno sfizio. È la vittoria di una logica di sopravvivenza, che più effimera non si può.
Il consiglio di amministrazione dell’azienda ha deciso a maggioranza (con la contrarietà dei tre indipendenti) di accettare la proposta di acquisto della quota di maggior rilievo del gruppo da parte del fondo speculativo statunitense Kkr, nel cui board siede l’ex generale degli Stati Uniti David Howell Petraeus, già comandante in capo delle operazioni militari in Afghanistan e in Iraq, e successivamente direttore della Central Intelligence Agency (Cia).
E va ricordato agli smemorati che la vicenda fu annunciata a margine del recente incontro tra il presidente nordamericano Biden e Giorgia Meloni.
Insomma, non siamo di fronte ad un’ennesima puntata della terribile saga della privatizzazione di Stet-Telecom-Tim, sulla quale è doveroso dire tutto il male possibile.
Ma qui sta accadendo un fatto persino inedito nelle proporzioni: l’invasione dell’amico americano, abile e scaltro nel mettere mani e piedi in uno dei luoghi sensibili e delicati per l’età digitale, cruciale per lo scacchiere geopolitico. È vero che la struttura (Sparkle) adibita al controllo dei cavi sottomarini che servono il Medio Oriente è ancora in corso di definizione proprietaria.
La rete, però, costituisce in sé un tesoro di dati, di informazioni e di rapporti cognitivi. Algoritmi e intelligenza artificiale fanno il resto.
Ecco perché ciò che sta avvenendo, la cui conclusione avverrà entro la fine del 2024, non è una puntata di una sequenza sbrindellata e mediocre. Certamente, è pure questo. Ma è qualcosa di nuovo e di diverso, simile a ciò che avveniva nella guerra fredda con le basi militari.
Allora così si sostanziava la subalternità italiana nell’era analogica; oggi in tale maniera si consegna l’intelligenza connettiva italiana alla parte finanziaria e speculativa del capitalismo d’oltre oceano, nonché alla dittatura degli oligarchi della rete.
Continuare a rifare la storia dei penosi capitoli delle privatizzazioni passate è un esercizio di critica e autocritica pur utile e commendevole, ma rischia di oscurare la crudezza degli affari odierni, peraltro neppure osannati dalla Borsa a dimostrazione che il mito del mercato è a sua volta finito in soffitta.
E i corifei della ripresa dell’infrastruttura da parte dello Stato o del rilancio della rete pubblica è bene che si vergognino.
Come mai, se quelle fossero state le intenzioni, non ha avuto alcuna attenzione la controproposta per Tim del fondo italiano Merlyn? E non si capirebbe il pasticciaccio compiuto con il promesso sposo (Bruxelles permettendo) Open Fiber. La Cassa depositi e prestiti – come Arlecchino- ha avuto due padroni in concorrenza.
Se il pubblico è affidato al modesto esborso del ministero dell’economia e se il quadro degli assetti vedesse la molto parsimoniosa partecipazione del fondo F2i o dei consueti attori arabi, assisteremmo ad un film con un copione scritto da tempo.
Vivendi ha annunciato le barricate e non sembra scherzare.
Le organizzazioni sindacali sono critiche, in una scala che va dalla Cisl alla Uil alla Cgil. In un efficace comunicato congiunto della Cgil nazionale e della federazione dei lavoratori dello spettacolo e delle comunicazioni (Slc) si esprimono giudizi severissimi sull’operazione, chiedendo un’immediata convocazione da parte del governo.
Inoltre, si introduce l’argomento cruciale dell’occupazione. Migliaia di posti sono a rischio e qualsiasi opinione non deve prescindere dal destino delle persone in carne e ossa.