“Tom-Fordismo” addio, la vera merce è l’esperienza

Pubblicato il 8 Gennaio 2010 - 17:45 OLTRE 6 MESI FA
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Il consumo di esperienze produce una soddisfazione più duratura del consumo di oggetti

Dopo l’era dei beni di massa, gli Usa hanno imposto la domanda degli articoli personalizzati e alla fine l’indebitamento è esploso. Andiamo verso un’epoca in cui la vera merce sarà l’esperienza: il valore aggiunto nell’economia dei servizi è l’interazione umana.

La crisi post 2007 non è stata soltanto una questione finanziaria: ha avuto inizio per le debolezze di un settore specifico (i mutui immobiliari) dopo che una bolla nel mercato immobiliare aveva fatto sì che molti americani prendessero soldi in prestito, in grandi quantità e spesso con modalità disastrose, offrendo a garanzia il valore apparente dei loro capitali per finanziare gli acquisti.

Durante la crisi, i consumatori di queste economie gravate dai debiti hanno bruscamente cambiato le loro abitudini di fare acquisti. Il tasso di risparmio è salito. La spesa per le automobili si è pressoché arrestata, almeno fino a quando i programmi di stimolo non l’hanno rimessa in moto,per quanto alcuni programmi abbiano semplicemente spinto molte persone a rimandare ad altra data i loro acquisiti. Il mercato dell’automobile è stato salvato nel 2009 a discapito delle vendite nel 2010 e negli anni successivi.

Il fascino dei marchi si è sgretolato facilmente. Una delle reazioni che si sono registrate è stata quella di cercare strategie marketing del tutto inedite, come nel caso del costoso marchio di calzature da donna Jimmy Choo che sono vendute con modelli più accessibili dalla catena H&M a prezzi molto più contenuti.

L’era del consumismo è stata il frutto di due crisi precedenti. La Grande Depressione degli anni Trenta è stata interpretata come l’esito di consumi inadeguati, di povertà in periodo di piena abbondanza. I governi si sono accollati la responsabilità di stabilizzare e organizzare i consumi a un livello molto più ampio. La seconda grande crisi globale degli anni Settanta ha sconvolto il modello produttivo che faceva affidamento sull’industria pesante, e al contempo anche l’idea che i governi dovessero occuparsi dell’economia.

Gli anni Settanta di fatto hanno inaugurato un nuovo modello di consumo sostenuto tramite l’individuazione dei desideri personali. La produzione è stata decentrata e si è concentrata sulla creazione di prodotti di nicchia per mercati altamente specializzati. Consumare è diventato un fenomeno essenzialmente individuale, tramite il quale ci si poteva distinguere dalla massa.

Gli studi empirici sulla felicità hanno evidenziato che la soddisfazione che nasce dall’acquistare nuovi oggetti è di breve durata e si autoalimenta con la reiterazione. Tutto ciò, naturalmente, è uno spreco, dal punto di vista morale, sociale e ambientale. D’altro canto, è pur vero che il consumo di esperienze (e non di oggetti) produce una soddisfazione più duratura.

La nuova economia dei servizi mette in luce un’interazione umana più che consumi individuali. Nella loro forma estrema, gli alberghi di lusso stanno oggi organizzando servizi in progetti comunitari locali, riformulando così le passioni dei loro ricchi proprietari. Se servirà a mettere in luce che gli esseri umani non sono entità isolate tra loro, ma la cui esistenza dipende dall’interazione, questa economia dei servizi potrebbe generare più alti livelli di benessere per tutti.