Tremonti e “l’albero storto” del fisco: le tasse si cambiano e non si abbattono

Pubblicato il 20 Ottobre 2010 - 18:46 OLTRE 6 MESI FA

Berlusconi e Tremonti

Ci vediamo da Tremonti, per parlare di tasse. C’è mezzo governo al primo appuntamento e ci sono le “parti sociali”, sindacati e Confindustria ma non solo. Comincia e durerà un mese la consultazione-riflessione. Un mese e poi quel che ne vien fuori dovrebbe essere portato in Consiglio dei ministri per farne almeno un progetto se non proprio una legge. Cosa c’è dunque nella cartella di Tremonti? Primi e pure soli per ora i “numeri”, quelli che secondo Tremonti dettano legge alla politica e non viceversa. Sembra ovvio ma già questo sarà difficile da far digerire a ministri, “parti sociali” e pure opinione pubblica che sono stati educati e si sono abituati a pensare il contrario. I numeri dicono che le tasse si possono abbassare per tutti solo se nei prossimi anni il Pil nazionale cresce a un ritmo almeno superiore al due per cento (oggi è la metà) e solo se la spesa pubblica corrente, non quella per investimenti, si ferma o arretra, cosa che oggi non succede.

Oltre ai numeri ci sono però anche le intenzioni. Tutte o quasi buone, tutte o quasi costose. La prima intenzione, difficile da realizzare ma l’unica forse a non costare quasi nulla, è la “semplificazione”. Tasse chiare e facili almeno, si può fare. Sono state censite circa 250 esenzioni e regimi fiscali. Troppi e buoni solo per la burocrazia o per naviganti esperti, troppo esperti, nel mare del fisco. Si può fare e, se si facesse, sarebbe un sollievo, di testa anche se non di tasca per il contribuente.

Poi arrivano le “intenzioni” a costo tutt’altro che zero. Il primo è il “quoziente familiare”. Significa che se in una famiglia entra un reddito o anche due questi non vengono tassati con l’aliquota standard che si applica al reddito di chi vive da solo. Si applica un demoltiplicatore per cui la famiglia paga di meno. Perchè le famiglie se ne accorgano, perchè lo sgravio sia avvertibile su redditi e consumi ci vogliono tra i dieci e i dodici miliardi. Dieci o dodici miliardi in meno per il fisco e in più per i bilanci familiari.

La seconda “intenzione” è, anzi sarebbe, quella di Berlusconi del “patto con gli italiani”: due sole aliquote Irpef, 23 per cento fino a 100mila euro di reddito e 33 per cento sopra i centomila. Costa più di venti miliardi. variante di questa “intenzione” è quella dei sindacati: ridurre l’aliquota Irpef che oggi è del 23 per cento al 20 per cento e ridurrer al 36 per cento quella che oggi è al 38 per cento. Non costa venti miliardi ma almeno quindici sì.

Altra intenzione, questa di Confindustria è abbassare o eliminare l’Irap. Intenzione con molti padri ma di nessuna paternità certa è quella di aumentare la tassazione indiretta, quella sui consumi, sulle “cose”, in parallelo alla diminuzione delle tasse sul reddito. I commercianti non si fidano e comunque significa Iva, quell’Iva che è la culla e la fabbrica dell’evasione fiscale in Italia.

Poi c’è l’intenzione, cara alla sinistra, di tassare la rendita finanziaria più di quanto non sia oggi tassata, cioè al 12,5 per cento. Se si fa, si deve fare escludendo i titoli di Stato. Il rischio dunque è di un gettito relativamente scarso.

Gira e rigira si torna al punto di partenza: quei cento miliardi di tasse che mancano perchè l’evasione di massa se li tiene in tasca. O si recupera, in fretta e in pianta stabile, almeno un venti per cento dell’evasione fiscale o non si può fare nulla che cambi davvero i numeri. Però non c’è ad arrendersi e la discussione, anche a numeri fermi, non è solo aria fritta. E’ assai improbabile che nei prossimi anni l’Italia possa rinunciare a quote rilevanti di gettito fiscale, insomma che le tasse complessivamente calino. Però non c’è né equità, né metodo nel chi e nel come si pagano le tasse in Italia. Il lavoro e l’impresa, almeno quelli in regola e in chiaro, pagano troppo. La rendita finanziaria paga poco, il patrimonio accumulato pochissimo, l’intermediazione e il lavoro autonomo pagano sì, ma non pagano tutti. Aggiustare si può, anche senza raccontare la favola di meno tasse per tutti. Ma serve anche che lo Stato, centrale o federale che sia, spenda meno. Oggi la spesa pubblica è di circa 770 miliardi annui, di cui circa 250 in mano ai governi locali che spendono senza responsabilità contabile e politica. Tremonti lo chiama “l’albero storto” del fisco. Per raddrizzarlo senza spezzarlo bisogna innaffiare, spostare, potare, tagliare. E smetterla di star tutti a tirare un ramo qua e là pensando di poter “far legna” in eterno.