Raggiungere i tumori, anche quelli situati più in profondità, con fasci di luce ad alta intensità capaci di distruggere le cellule tumorali con il calore. Oppure attivando farmaci fino ad allora dormienti o, ancora, mettendo in moto processi biochimici in grado di contrastare la malattia. È questa la frontiera che apre uno studio condotto da un gruppo di ricercatori della Sapienza Università di Roma, dell’Istituto dei Sistemi Complessi del Consiglio Nazionale delle Ricerche, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs, i cui risultati sono stati pubblicati su Nature Communications.
L’utilizzo della luce nella lotta al cancro è uno degli approcci su cui sta lavorando da tempo la ricerca oncologica.
Strategie che consentissero di trasformare la luce in calore localizzato sulla sede tumorale avrebbero innumerevoli vantaggi: sarebbero molto efficaci sulle cellule tumorali risparmiando le cellule sane, per nulla invasive, semplici e con minimi effetti collaterali. A oggi, uno dei principali ostacoli alla messa a punto di trattamenti di questo tipo è la natura dei tessuti biologici che, dal punto di vista ottico, sono opachi e assorbono la radiazione incidente.
“La biomateria vivente è un ambiente otticamente denso, agitato, assorbente e altamente dispersivo. Caratteristiche che rendono la concentrazione della luce visibile nei tessuti profondi un problema critico”, scrivono i ricercatori.
La ricerca italiana potrebbe ora avere scoperto il modo per aggirare questi problemi, sfruttando un fenomeno fino a oggi osservato in diversi sistemi complessi – dagli oceani al plasma – ma mai in contesti biologici. Il team ha infatti scoperto che, all’interno del tumore, possono formarsi delle onde anomale di intensità estrema.
Questi veri e propri “tsunami di luce”, in cui la luce viene canalizzata e concentrata, possono essere sfruttati per trasmettere la luce all’interno del tumore e ottenere un aumento della temperatura locale. “Ci siamo accorti che all’interno di un mare di debole luce trasmessa c’erano dei modi ottici di intensità estrema”, spiega Davide Pierangeli, dell’Istituto dei Sistemi Complessi del Cnr. Queste “onde estreme, che fino ad oggi erano rimaste inosservate in strutture biologiche, sono in grado di trasportare spontaneamente energia attraverso i tessuti e possono essere sfruttate per nuove applicazioni biomediche”, aggiunge Claudio Conti della Sapienza Università di Roma.
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