Avere tutti i privilegi della holding bancaria e potersi permettere tutti i rischi di impresa della “classica” banca di investimento: il caso di Goldman Sachs, l’istituto salvato dal governo di Washington grazie ad un robusto assegno da 10 miliardi di dollari, fa discutere gli Stati Uniti.
I conti della banca, grazie alla liquidità pubblica, sono usciti dal rosso e Goldman ha ripreso a macinare utili: 3.44 miliardi a giugno e previsioni ancora più positive per il trimestre in chiusura. Ma quello che disturba non poco parte del Congresso e il mondo di Wall Street è la posizione di anomalo privilegio in cui l’istituto si trova a poter operare.
Goldman Sachs, infatti, è una holding bancaria dal 21 settembre del 2008 eppure la sua politica in termini di investimenti, e di rischi, non è minimamente cambiata. Lo ha ammesso, candidamente, il capo del settore finanziario di GS, David Viniar: «Abbiamo sempre detto che il nostro modello di business restava lo stesso».
Una politica, però, che negli Usa piace a pochi. Perché Goldman, adesso, rischia i soldi pubblici. Tra i primi a rilevarlo, e a metterlo per iscritto in una lettera indirizzata al presidente della Federal Reserve Ben Bernanke, un gruppo di dieci deputati. Secondo loro l’attuale modello della Goldman Sachs è l’incarnazione perfetta del detto «testa vinco io, croce il contribuente perde». E, dalle parti di Wall Street, la gente mormora.