Vertice UE. Germania e Francia vogliono più riforme dall’Italia

BRUXELLES – Ancora prima che il summit europeo di domenica 23ottobre avesse inizio, la cancelliera tedesca Angela Merkel ed il presidente francese Nicolas Sarkozy hanno avuto un incontro col Presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi.

Dalle informazioni degli ambienti governativi tedeschi e riportate dall’agenzia di stampa Reuters, durante la riunione, sia Sarkozy che la Merkel avrebbero spiegato a Berlusconi la necessità di riforme concrete e credibili in tutti gli Stati della moneta unica e gli avrebbero fatto presente che l’Italia, a causa del suo elevato debito pubblico e della sua bassa crescita economica, è un punto debole dell’Eurozona.

I due massimi rappresentanti di Francia e Germania, inoltre, avrebbero voluto che Berlusconi, al summit di domenica, annunciasse riforme aggiuntive che la cancelliera aveva già pubblicamente auspicato il giorno prima del vertice.

Angela Merkel, infatti, durante il suo intervento del 22 ottobre al parlamento dell’unione giovanile di Braunschweig, aveva detto che nessuno scudo sarebbe riuscito a creare stabilità se l’Italia non avesse messo in atto interventi per abbassare il suo debito pubblico, pari al 120 per cento del prodotto interno lordo e che ne fa il Paese europeo con il debito di più alta incidenza sul reddito nazionale dopo la Grecia.

Il Presidente del Consiglio italiano , secondo quanto riportato dal giornale tedesco Stern, prima dell’inizio dei lavori aveva parlato anche con Herman Van Rompuy, presidente del Consiglio dell’Unione europea, e con José Manuel Barroso, presidente della Commissione europea, per manifestare loro la volontà dell’Italia di procedere verso un effettivo risanamento del bilancio pubblico.

La crisi causata dal debito, cresciuta in estate e arginata solo grazie agli acquisti massicci di titoli di stato italiani e spagnoli da parte della Banca Centrale Europea (BCE), costringerebbe quindi non soltanto Grecia, Irlanda e Portogallo, ma anche Italia e Spagna a lottare per riacquistare la propria credibilità su mercati di capitale che hanno già rafforzato le loro misure di austerità.

Per preservare i Paesi con maggiore incidenza nella zona dell’euro da un collasso causato dal debito, le nazioni della moneta unica sembrano voler pensare a scudi molto robusti: l’intenzione dei capi di Stato e di Governo sarebbe di permettere al fondo di salvataggio dell’euro (EFSF) di moltiplicare, tramite una leva finanziaria, il suo limite di credito, già innalzato a 440 miliardi di euro a costo di sforzi politici, ma senza aumentarne le responsabilità: ciò soprattutto per proteggere l’Italia, la Spagna ed anche la Francia.

Tra alcuni Paesi dell’Eurozona però, sarebbe rimasta controversa la questione se il fondo per il salvataggio dell’euro (EFSF), con o senza la BCE, debba utilizzare il suo credito come base per la leva finanziaria.

La Germania sarebbe a favore di una soluzione assicurativa attraverso la quale il fondo salva euro possa coprire una parte del rischio di perdita degli acquirenti privati dei titoli di Stato.

Secondo i diplomatici dell’UE, la Francia continuerebbe a insistere sul fatto che l’EFSF debba ottenere una licenza bancaria affinché possa moltiplicare il suo credito attraverso un rifinanziamento presso la BCE, soluzione verso la quale la Germania, così come l’Olanda, la Finlandia e l’Austria, si sarebbe invece dimostrata contraria perché una operazione di questo tipo costituirebbe l’inosservanza degli accordi europei secondo i quali il finanziamento statale per mezzo della Banca Centrale è vietato.

Per risolvere la crisi della Grecia si dovrebbe rinegoziare il secondo programma di aiuti a questa nazione.

Le banche dovrebbero sacrificare dal 50 al 60 per cento dei loro crediti, diversamente da quanto era stato stabilito in luglio, quando si prevedeva che le perdite delle banche sarebbero state del 21 per cento.

Inoltre, gli Istituti di credito europei dovrebbero impegnarsi a raccogliere circa 100 miliardi di nuovi fondi per far fronte al maggiore indebitamento medio.

Per una moneta unica europea a prova di crisi, in futuro ci dovrà essere un coordinamento più stretto tra politica economica e finanziaria.

Inoltre, la Germania avrebbe chiesto una modifica dei trattati dell’Unione Europea, ma su questa misura molti Paesi si sarebbero dimostrati riluttanti.

In merito a decisioni definitive risultanti dal summit di domenica, la cancelliera Merkel avrebbe smorzato le aspettative rimandando al vertice straordinario di mercoledì ogni decisione tecnica su un utilizzo efficace dell’EFSF che sarebbe stato comunque abbozzato nei concetti di base.

A causare la divisione del vertice non sarebbe però solo la disputa sull’effetto della leva sull’EFSF. La Merkel, infatti, potrà esprimere il suo consenso a provvedimenti ad ampia risonanza solo se il parlamento tedesco darà via libera.

La posizione legislativa tedesca sul salvataggio della moneta unica era stata infatti rafforzata dopo che la Corte costituzionale federale, con la sua sentenza sull’euro, aveva richiesto una maggiore partecipazione del parlamento alle decisioni relative al bilancio dello Stato.

Nell’Eurozona però, sembra che il ruolo rilevante del parlamento tedesco faccia nascere qualche preoccupazione.

Il presidente dell’Eurogruppo Jean-Claude Juncker infatti, in una intervista rilasciata al giornale tedesco “Spiegel”, avrebbe detto che il Bundestag sarebbe di ostacolo a decisioni che invece dovrebbero essere prese velocemente.

Secondo Juncker, il parlamento vorrebbe in questo modo esercitare la sua prerogativa regia, che è il controllo del bilancio statale, ma ciò “ Non dovrebbe comportare che l’Unione Europea non possa reagire con la solerzia necessaria”.

Secondo il primo ministro belga Yves Leterme le decisioni del vertice europeo non dovrebbero essere procrastinate: “ E’ fondamentale che domattina, quando apriranno i mercati finanziari, noi avremo fatto abbastanza progressi per impedire che sia messa in pericolo la credibilità dell’euro”.

Per il Presidente del Consiglio europeo il vertice previsto per mercoledì non sarà sufficiente per risolvere definitivamente la crisi, la cui risoluzione richiederà invece ulteriori passaggi.

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