Vino e olio, l’invasione spagnola. Ricorsi storici: la caduta dell’Impero romano

di Redazione Blitz
Pubblicato il 7 Ottobre 2014 - 07:00 OLTRE 6 MESI FA
Vino e olio, l'invasione spagnola. Ricorsi storici: la caduta dell'Impero romano

Vino e olio, l’invasione spagnola. Ricorsi storici: la caduta dell’Impero romano

ROMA – Vino e olio, l’invasione spagnola. Ricorsi storici: la caduta dell’Impero romano. Vino e olio, l’invasione spagnola. Ricorsi storici: la caduta dell’Impero romano. Siccità e maltempo sono all’origine del crollo della produzione mondiale 2014 di vino e olio. L’Italia è in prima fila tra i produttori che rischiano di più, su approvvigionamento e soprattutto qualità del prodotto. Emblematico (e foriero di sinistri presagi se si mette il crollo nella prospettiva storica) è il caso della Spagna: perde quote di produzione (in percentuale di più perché produce di più e meglio) ma può sfruttare le ingenti scorte per rifornire il mercato della quantità necessaria.

Contaminando il vino e l’olio d’oliva italiano (il migliore in circolazione). Dagli anni ’80 la Spagna ha investito bene e tutti i fondi europei per l’agricoltura, surclassandoci in termine di produzione anche nel segmento di qualità: l’Italia, nel confronto sull’olio di oliva è più che perdente, dovendo importare più di quanto produce. Allo stesso modo, il vino spagnolo rischia di diventare “made in Italy”: le organizzazioni agricole denunciano infatti il surplus produttivo iberico 2013  che sta invadendo il mercato comunitario (e quello italiano in particolare).

Con un ettolitro di vino venduto a 8 euro è chiaro che cresce anche il rischio di “false etichette”. Un problema gigantesco che richiama un precedente storico che non può inquietare: all’origine della caduta dell’Impero romano ci fu proprio il crollo della produttività dei latifondi. Nei primi de secoli dell’Impero, lo sviluppo economico fu il risultato dell’espansione territoriale con le conquiste militari. I latifondi italiani non avevano capacità produttiva, soprattutto perché la cura della terra era affidata quasi esclusivamente agli schiavi. Con la fine delle conquiste i nodi vennero al pettine, insieme all’esosità dei tributi fiscali.

Quando furono concessi loro più diritti, molti schiavi questi preferirono una condizione marginale e parassitaria di quasi liberi piuttosto che spezzarsi la schiena sui campi per latifondisti che li pagavano comunque pochissimo. I latifondi si trasformarono in semplici residenze di campagna per gli uomini facoltosi che preferivano vivere nella capitale dell’Impero. L’olio, nel frattempo, veniva importato dalla Betica (oggi Andalusia) e il vino dalla Gallia.

Quando parliamo di olio parliamo di uno dei tratti distintivi della civiltà romana al suo apogeo.  Non mancavano allora, come oggi, le contraffazioni: una ricetta di Apicio insegnava a contraffare l’olio della Liburnia (Istria attuale) utilizzando un prodotto spagnolo. Oggi come allora è la gestione efficiente e ordinata della produttività e delle scorte a marcare la differenza tra un prodotto che riesce a stare sul mercato (anche con crisi e siccità) e uno che non ce la fa.

Questo liquido assunse un ruolo fondamentale per la tavola e la cultura dell’epoca imperiale, tanto che Giulio Cesare costrinse le province vicine dell’impero a consegnare alla città molti litri di olio come tributo annuale. Il frutto dell’ulivo godeva di una tale considerazione che, in una civiltà basata su una rigida struttura militare e sul reclutamento obbligatorio, i cittadini che piantavano almeno un iugero (circa 2.500 metri quadri) di ulivi venivano dispensati dalla leva.

I primi sintomi della crisi di tanto splendore oleario si avvertirono nel III sec. Il progressivo abbandono delle campagne alla cura degli schiavi, e le continue elargizioni degli imperatori, svuotarono le riserve di olio italico; la produzione nella nostra penisola diminuì e Roma anche per il suo consumo interno inizio ad attingere alle sue province spagnole e africane. La caduta dell’impero romano e le invasioni barbariche interruppero i contatti commerciali, facendo decadere l’olio da pianta sacra a specie rustica poco significativa. (TaccuiniStorici.it)