Viva la Chrysler e arrivederci Fiat: storia di sedotti e abbandonati

Sergio Marchionne, ad di Fiat (AP Photo/ Lapresse)

Di ultimatum in ultimatum Sergio Marchionne riuscirà certamente nell’ intento: di fare della “Fabbrica Italia” un esempio di tale efficienza e produttività da ridurre la Toyota. ad un laboratorio di volenterosi artigiani. Resta da vedere se a quel punto ci sarà ancora qualcosa da produrre. Perché ad analizzare la trimestrale del costruttore torinese c’è da chiedersi per quale ragione la concorrenza continui a svenarsi per presentare novità a raffica ed implementare la propria offerta quando proprio la Fiat insegna che si possono fare utili anche senza progettare e produrre nuovi modelli. Attività ad alto rischio e ad alto costo.

Ed infatti anche se da Marzo non figura più una vettura torinese nella Top Ten dei modelli più venduti, evento che non si ricorda a memoria d’uomo, gli utili ci sono eccome. E se, sempre nel mese di marzo, il consumatore europeo la condanna ad un calo del 20% resta pur sempre vero che l’indebitamento continua a scendere. Certo rimane un po’ di fastidio per quella Giulietta che, con incrementi di vendita del 65%, ricorda con fastidiosa insistenza che fare automobili per un costruttore di automobili è pur sempre una attività remunerativa. Segno che chiunque, anche il più abile può sempre fare un passo falso.

Ma l’obiettivo di Sergio Marchionne è certamente più ambizioso e quello che sembra un suicidio industriale è invece una strategia che rischia di essere vincente. Perché tanta fretta di salire in Chrysler? Perché se si conclude l’operazione prima della sua quotazione in borsa il prezzo da pagare sarà calcolato secondo una complessa formula nella quale gioca un ruolo importante anche il livello di indebitamento della Fiat. In altre parole il prezzo cala con il calar dell’indebitamento del Lingotto.

Obiettivo che può essere raggiunto aumentando le entrate attraverso la crescita delle vendite e della redditività del prodotto, oppure riducendo o azzerando gli investimenti destinati alla ricerca, allo sviluppo ed alla progettazione. Sembra evidente che l’amministratore delegato della Fiat abbia scelto questa seconda strada. Poco importa se così facendo si svuota dall’interno la Fiat, con il rischio di ridurla ad un guscio senza più sostanza al suo interno.

Già oggi con il 6.8% del mercato europeo il gruppo torinese ha volumi di vendita simili a quelli di “specialisti” come Mercedes e BMW i cui modelli hanno margini di contribuzione certo più elevati di quelli di Panda e Punto. Per alimentare il sogno Chrysler bisogna andare avanti su questa strada ma il tempo stringe perché prima o poi il gioco diventerà evidente anche a chi preferisce chiudere gli occhi di fronte alla realtà.

Proprio per questo la interminabile querelle con operai e sindacati è preziosa per far dimenticare quelle cifre che ogni mese testimoniano dell’avanza del processo di dissolvenza della “Fabbrica Italia”: fabbrica modello ma senza modelli. Ma rimane un dubbio: e se al momento di concludere l’ acquisto da parte della Fiat gli americani e cioè l’amministrazione ed i sindacati USA, si rendessero conto di essere acquisiti da un manager e non da quell’azienda che aveva promesso tecnologia ed aperture di nuovi mercato in cambio di finanziamenti, sarebbero ancora disposti a dare il loro assenso. La Opel lo aveva capito e sappiamo come è andata a finire.

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