La voglia matta anti-Europa. Prossima tappa: la bancarotta

ROMA-Al mattino dopo può sembrare sia stato solo un incubo, un pessimo sogno da cui ci si è svegliati: Franco Frattini, ministro degli Esteri del governo italiano, sbarcando in Lussemburgo dichiara: “Senza l’Europa l’Italia è troppo piccola”. Non proprio una gran riflessione cui approdare dopo il travaglio e lo studio di una notte, però testimoniava che al governo la carta geografica almeno la tenevano presente. E poi Frattini proseguiva: “Occorre tenere i nervi saldi…Maroni non voleva dire che l’Italia vuole uscire dall’Europa”. In effetti Maroni, che è ministro dello stesso governo di Frattini, aveva detto: “Non capisco cosa ci stiamo a fare in Europa”, il che in italiano significa che è meglio abbandonare la compagnia, infatti sempre Maroni aveva pronunciato il chiarissimo: “Meglio soli che male accompagnati”. Ma erano, ora cortesemente ci spiegano, le ore dell’ira e della delusione del governo e di tutti i suoi ministri, le ore di un incubo che prendeva forma.

Le ore in cui mancava un niente alle “inique sanzioni” e alle “demoplutocrazie”, ce l’avevano lì sulla punta della lingua i governanti d’Italia. Berlusconi aveva detto all’Europa: “Allora è meglio dividerci”. Dividerci se l’Europa non si prendeva in casa una robusta quota dei 20/25 mila tunisini e immigrati assortiti che sono sbarcati a Lampedusa. Era il capo del governo ma, si sa, spesso non misura le parole, parla come la “gente”, quindi forse non voleva dire “dividersi” come aveva letteralmente detto. Però il ministro degli Interni diceva: “Che ci stiamo a fare in Europa” e quello degli Esteri accusava “l’egoismo” degli europei. Era un coro, una linea d’azione. Infatti il capo dello Stato, mica un titolista di telegiornale, capiva la musica che il governo suonava e interveniva, Napolitano diceva: no a “ritorsioni e rotture”. Insomma l’incubo c’era: l’Italia che esce dall’Europa. Con folla festosa che fa falò dell’euro imputato di ogni male, con ministri e partiti di governo che ci guidano fuori da questa convivenza con i “burocrati egoisti”. L’incubo si dipanava, si svolgeva: Calderoli, altro ministro, che chiede il blocco navale intorno a tutte le coste. L’incubo si arrotolava, si avvolgeva: l’Italia, il paese più indebitato del mondo che si allontana e si chiama fuori dall’alleanza con i paesi, e i contribuenti, che per quel debito garantiscono. L’Italia, il paese tra quelli dell’occidente che più fatica a produrre ricchezza, che si chiama fuori dal mercato europeo, quello dove vende e compra più della metà dei suoi prodotti e merci. L’incubo di un’Italia autarchica nella moneta, nei sentimenti, nell’economia si materializzava in ministeriali figure parlanti in tv. Uno li guardava e tremava: eccoli, tra un po’ ci diranno che lo champagne o i crauti fanno male alla salute e che un surrogato di euro prodotto in casa è meglio dell’euro vero: l’hanno già fatto tanto tempo fa con il caffè. Trasudava, sprizzava voglia matta anti Europa, voglia di governo e di popolo. Uno lo guardava in tv e pensava che non era, non poteva essere un telegiornale ma era invece incubo ad cui ci si sveglia, sudati ma ci si sveglia.

Ci è svegliati tante altre volte…ci si è abituati a pensare che sia indolore avere un ministro della Difesa che si mette la mimetica, va in elicottero in Afghanistan e lancia di sua mano volantini al talebani con sopra scritto “arrendetevi”. Indolore per noi, ma in Europa La Russa lo guardano e non ad “Annozero”. Ci si è abituati a pensare che sia indolore avere un ministro orgoglioso della sua “cultura celtica”. Ma in Europa Calderoli lo guardano. Ci si è abituati a ministri delle Riforme e governatori delle Regioni del Nord che proclamano di non volere immigrati a casa loro, che li scaricano altrove. E poi si indignano se francesi e tedeschi li scaricano sul loro “sud”, sull’Italia. Abituati a un ceto politico che proclama di spezzare le reni economiche alla Cina. Al ministro Brunetta che non sopporta il “culturame”, al vice presidente degli scienziati italiani che spiega  i terremoti come collera divina e invita le eventuali vittime a non prendersela troppo con la imperscrutabile ma sempre provvidenziale divina volontà. A Zaia che quando era ministro dell’Agricoltura dava una mano a tutti quelli che fregavano l’Europa e le sue regole. A Frattini che lodava l’originalità della democrazia libica, quella di Gheddafi. A Bossi che parla di “fucili bergamaschi”. A un premier che si fa vanto di essere il più esperto dei premier, quello che dice a Bush cosa fare, che costringe Putin e Obama all’accordo sulle armi, che ferma la guerra in Georgia. Che va in giro a dire che lui è un “tycoon”, quindi sta una spanna più sopra di tutti gli altri premier. Abituati a pensare che tutto questo sia sogno, incantamento che si può vivere gratis. Invece in Europa e nel mondo guardano e presentano il conto.

Quindi uno si sveglia e capisce che non era solo un incubo. Che non passa e anzi ci sarà la prossima tappa della voglia matta anti Europa: la bancarotta. In agenda c’è già l’assalto a Tremonti. In realtà l’assalto alla cassa. Il maggior partito di governo, il Pdl, e gli alleati dell’utima ora, i Responsabili, schiumano di voglia, voglia di soldi pubblici. Fioccanno intimazioni a Tremonti di “collaborare”, cioè di fabbrica debito. Debito con cui finanziare e pagare le imminenti elezioni e quelle che verranno, dicono “crescita” ma intendono voti e consenso. Il freno inibitorio chiamato Europa pare loro una morsa, lo stanno allentando e sabotando: si acquista consenso interno additando il nemico esterno. Berlusconi ha già confidato agli intimi: in campagna elettorale diremo che la colpa è dell’Europa, la colpa di tutto, dagli immigrati al Pil inchiodato all’un per cento. Non è incubo che finisce e svanisce, è già pronta la prossima tappa.

Incubo che tritura l’illusione che tutto questo sia il nuovo, la novità, la nuova politica, la nuova classe dirigente. Incubo che fa a pezzi l’altra e simmetrica illusione: quella secondo la quale l’anomalia sia Ruby o l’incerta legalità pubblica e privata. Illusione che sia questione di giudici e tribunali o di schede e seggi elettorali. E invece è questione  di Storia e non di storie, è questione di un paese che fatica ad essere Europa e recalcitra, rifiuta, respinge il tempo in cui vive. Come amano dire gli americani, giusto o sbagliato è questo il mio paese, la mia terra. Ma al colmo, all’acme dell’incubo arriva l’immagine nitida che questa terra comune è arata dagli scemi del villaggio. E non sai se questo terribile sospetto è una conseguenza, esagerata conseguenza dell’incubo o dell’incubo è la sostanza.

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