ROMA – L’Europa davanti alle nuove dinamiche dei flussi migratori, all’emergenza dei rifugiati e dei profughi, “deve aprirsi”, e per riuscirci deve puntare su “valori condivisi”, “liberarsi dei nostri egoismi, mettendo da parte un po’ di noi stessi per aprirci agli altri”.
Ne è convinto l’amministratore delegato dell’Eni, Claudio Descalzi. Descalzi è intervenuto al convegno ‘Profughi e Noi’ organizzato dalla fondazione Avsi, organizzazione non governativa nata nel 1972, presente con progetti di cooperazione in 30 nazioni del mondo, forte di uno staff di quasi 1.300 persone e una rete di oltre mille volontari in Italia.
A regolare i flussi migratori, ha spiegato Descalzi, ci sono
“temi di natura geopolitica, economica, energetica e ambientale i cui cambiamenti stanno accelerando le migrazioni, e l’impressione e’ che non ci sia tanta consapevolezza di cio’ che sta accadendo, che e’ qualcosa di epocale che non puo’ essere bloccato con barriere fisiche o burocratiche”. Da qui l’invito a “non dimenticarsi di tutta questa pressione”,
ad aprirci, perché
“non si puo’ e non si deve rifiutare l’aiuto”: negare il sostegno “sarebbe antistorico”, ha affermato l’amministratore delegato di Eni.
All’incontro ha partecipato anche il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, che ha spiegato che per affrontare l’emergenza profughi bisogna insistere su due direttrici:
“aiutarli a casa loro con la presenza solidale nelle aree di maggior criticità e poi sostenerli una volta che sono qui”, come ha fatto la “nostra amministrazione” che durante il suo mandato “ha assistito a Milano 84.300 persone, di cui 11.400 bambini”.
“C’era chi voleva che li respingessimo, noi abbiamo deciso di aiutarli”, ha rivendicato Pisapia chiudendo il suo intervento. Chi porta un sostegno concreto nei Paesi da cui molto spesso arrivano migranti o rifugiati è l’Eni:
“in Africa siamo la prima società petrolifera”, ha ricordato Descalzi, un risultato conseguito anche perché “abbiamo intrapreso una strada diversa rispetto agli altri, fatta non solo di profitti”.
Quindi l’ad ha spiegato in cosa consiste questa “strada diversa”, una strada che fonda le sue radici “nel fare scelte non pensate solo per il nostro orticello, ma interrogandoci su cio’ di cui hanno bisogno i Paesi africani”.
E in primis, le nazioni del continente nero hanno necessità di un maggior “accesso all’energia”, se consideriamo “che la popolazione africana rappresenta il 15% del totale mondiale ma consuma solo il 3% dell’energia prodotta nel mondo”.
Come Eni, ha affermato Descalzi,
“abbiamo investito in Africa due miliardi di euro per produrre energia”, e oggi “forniamo il 65% dell’energia in Congo e il 20% in Nigeria”, senza dimenticare i progetti per la costruzione di centrali in Angola e Mozambico.
Insomma, ha aggiunto l’ad,
“stiamo producendo energia non per esportarla, ma per il consumo locale”.
Oltre all’impegno per garantire un maggior accesso all’energia, in Africa Eni vanta numerose iniziative nei settori della sanità, dell’istruzione e in agricoltura, tutti accomunati da un filo conduttore:
“gli investimenti non devono essere relativi solo al core business, ma bisogna diversificare per dare speranza e far capire alle popolazioni locali che possono vivere e lavorare dove sono nati e cresciuti, perché lì, nella loro terra, possono avere un futuro”.