L’Eni continua ad investire in Libia, Scaroni: “Non siamo preoccupati dagli scontri”

Paolo Scaroni

TRIPOLI – L’Eni non è affatto preoccupata. Dopo aver siglato, due giorni fa, l’accordo con la Libia che prevede la cessione di una quota del giacimento Elephant al colosso russo Gazprom, che così debutta nel paese di Gheddafi, l’amministratore delegato del “cane a sei zampe, Paolo Scaroni, ha detto di non temere gli scontri e le rivolte che imperversano nel paese nordafricano.

“Non mi sembrano tensioni particolarmente forti. In Libia continuiamo a investire e la nostra attività prosegue regolarmente. E’ un paese strategico per noi. Siamo lì da molti anni”, ha spiegato Scaroni.  L’Eni è in Libia dal 1959 e il rapporto continuerà a lungo visto che il colosso italiano degli idrocarburi ha rinnovato i suoi contratti di esplorazione e produzione su petrolio e gas fino al 2042.

Gli scontri in Libia giovedì hanno visto i primi morti, Scaroni è comunque tranquillo anche perchè, fa notare, “i nostri giacimenti sono lontani dalle zone più a rischio, noi siamo in pieno deserto”. Per ora infatti dalla Libia non ci sono stati rimpatri di personale italiano impiegato nelle attività di produzione. Dall’Egitto invece il gruppo Eni ha evacuato familiari e personale non strettamente operativo.

Eni guarda comunque con occhi più che interessati ciò che sta accadendo in Libia e in Algeria, rispettivamente al primo e al secondo posto nella lista italiana del mercato di importazione del petrolio. Il 52% della produzione di olio e gas dell’Eni arriva dall’Africa, il 15% proprio dalla Libia. Nel 2007 la società italiana pagò la metà di quei 28 miliardi di dollari di investimenti nel paese di Gheddafi per il rinnovo degli accordi.

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