Eni, Scaroni presenta piano di rilancio dopo-Snam: “Meno rendita, più rischio”

ROMA – L’Eni cambia volto: al via il dopo-Snam. “Meno attività regolate, più rischio, più crescita, più volatilità, meno debito più liquidità”. Lo afferma in un’intervista ad Affari & Finanza di Repubblica, Paolo Scaroni, alla guida dell’Eni da 8 anni, spiegando il piano di rilancio del gruppo dopo l’avvio delle operazioni per la cessione di Snam, imposta dal governo, che favoriva utili sicuri.

Meno rendita e più sviluppo, questo in sintesi il piano di Scaroni che spiega: “La vera novità è il gas. In termini di costo per caloria tradizionalmente il gas aveva un prezzo intorno al 70-75 per cento del gasolio. La rivoluzione dello shale gas ha però determinato due fenomeni: il primo è che negli Stati Uniti il prezzo per caloria del gas è crollato al 20 per cento di quello dei derivati del petrolio. Il secondo è che c’è un prezzo negli Stati Uniti, pari a circa 3 dollari per metro cubo, un prezzo per l’Europa, pari a 10-11 dollari, e uno per l’Estremo Oriente, di 17-18 dollari. La ragione di questa diversificazione enorme dei prezzi è che trasportare il gas richiede infrastrutture complesse e costose”.

Fondamentali in questa nuova geografia del gas sono le grandi infrastrutture, i gasdotti in cantiere: “Southstream si propone di portare il gas russo in Europa passando sotto il Mar Nero invece che attraverso l’Ucraina, il Nabucco e altri si propongono di portare in Europa il Gas azero, altri progetti vogliono portarlo da altre regioni. Il linea di massima la diversificazione delle fonti è sempre positiva”. Per Scaroni non sono necessariamente in competizione tra loro e spiega che spiega così la sua nuova vocazione di esploratore:

“In termini di successi esplorativi siamo i campioni del mondo e se continuiamo a fare molto meglio dei nostri competitori è perché non io, ma la struttura guidata da Claudio Descalzi (direttore generale dell’area Esplorazione & Produzione dell’Eni, ndr), ha messo l’esplorazione al centro dell’azienda. Non è una scelta così ovvia. Vede, se non si fa nulla ogni anno la produzione si riduce del 5 per cento perché i vecchi pozzi vanno ad esaurire la loro capacità, di fronte a questo destino ci sono due opzioni: la prima è dare peso all’esplorazione e la seconda è dare peso alla finanza, ovvero rimpinguare le proprie riserve acquistando asset petroliferi. In questa seconda ipotesi ci sono meno rischi, perché si sa quello che si compra, anche se si tratta di pagare il giusto prezzo. La prima opzione è più rischiosa perché investi ma non ha la certezza di scoprire, ma naturalmente se scopri ne vieni ampiamente ripagato. Noi abbiamo fatto questa scelta e ne siamo stati ampiamente ripagati”.

Quanto alla partita Saipem, nella quale lo stesso Scaroni risulta indagato, si difende così: “Sono indagato perché in alcune occasioni ho incontrato una persona che mi era stata presentata come l’assistente personale dell’allora ministro del petrolio algerino. E’ tutto già noto e questo è quanto. Le aggiungo che io sono tranquillissimo e che ho la massima fiducia nella magistratura con la quale stiamo collaborando”.

Scaroni è certo del successo di Saipem e le ultime vicende giudiziarie non lo preoccupano più di tanto:

“Saipem è una delle più straordinarie storie di successo industriale degli ultimi decenni. Dalla sua quotazione, anche ai prezzi attuali delle azioni, ha moltiplicato di 18 volte il suo valore. Questo successo è dovuto a tre fattori: la capacità ingegneristica italiana nel contracting; il fatto di avere dietro le spalle robuste dell’Eni; Pietro Franco Tali (l’amministratore delegato di Saipem che si è dimesso lo scorso autunno, indagato per corruzione internazionale legata all’acquisizione di commesse in Algeria, ndr), il manager che io ho trovato alla guida della Saipem quando sono arrivato in Eni, che ha fatto un percorso eccellente”.

Quanto alla corruzione internazionale, spiega, c’è tolleranza zero: “All’Eni non si pagano, ma le assicuro che nel nostro bisuness non le paga nessuno e noi ci comportiamo, con convinzione, come gli altri. E neanche i grandi contractor ne hanno bisogno. Quanto agli intermediari, l’Eni ha zero contratti di intermediazione, non perché sia proibito ma perché richiedono una due diligence ossessiva per evitare che nascondano qualcosa d’altro”.

Altro tema delicato, da più parti rimproverato alla gestione Scaroni, è quello dei contratti take or pay, che costano all’Eni e ai consumatori svariate centinaia di milioni. Ma Scaroni sottolinea:

“Premesso che io ho solo rinnovato un contratto già esistente con la Gazprom che al mio arrivo era stato già rinegoziato e siglato, ci sono due precisazioni e una considerazione da fare. La prima precisazione è che il peso economico di quei contratti ricade interamente sull’Eni e non arriva alle bollette dei consumatori; la seconda è che tutta l’Europa vive di contratti take or pay, l’Eni stessa ha contratti del genere sia come compratore che come venditore, quindi non c’è nulla da demonizzare. Infine la considerazione: oggi il prezzo del petrolio per barile è di 110 dollari, ebbene se avessimo il petrolio a 50 dollari noi guadagneremmo su quei contratti ma molto meno con l’esplorazione e produzione di petrolio. Visti i pesi relativi sui conti dell’Eni preferisco perdere sul take or pay e guadagnare con esplorazione e produzione. Ma poiché a noi non piace perdere in nessuno dei nostri business abbiamo avviato una serie di rinegoziazioni sull’80 per cento circa dei contratti take or pay in essere che contiamo ci portino dei risultati a partire già da quest’anno”.

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