MOSCA – Storico accordo Russia-Cina per una fornitura trentennale di gas russo alla Cina, del valore di 400 miliardi di dollari. Lo ha annunciato l’ad del colosso russo Gazprom, Alexiei Miller, che non ha voluto tuttavia rivelare il prezzo del metano: “E’ un segreto commerciale”, ha detto. Una sfida all’Occidente che non poteva certo passare inosservata, tanto che il presidente della Commissione Ue, José Manuel Barroso, è subito intervenuto: “Rifornite anche l’Ue”.
Il colosso russo Gazprom e la compagnia petrolifera pubblica cinese Cnpc hanno firmato l’intesa a Shanghai, dopo due giorni intensi di incontri e trattative. Trenta anni di fornitura, pari a 38 miliardi di metri cubi l’anno e un gasdotto di 2200 km dalla Siberia alla Cina, ancora da costruire.
Dopo dieci anni di tentativi i russi sbarcano strategicamente a Est, muovendo di fatto il primo passo per affrancarsi dall’Europa, principale mercato di sbocco del gas siberiano. Un messaggio piuttosto chiaro, dopo lo scoppio della crisi in Ucraina. Non a caso Barroso in una lettera al presidente russo, Vladimir Putin, ha subito messo le cose in chiaro:
“La fornitura di gas all’Europa non deve essere interrotta, conto sulla Russia perché mantenga i suoi impegni, è responsabilità di Gazprom assicurare le consegne di gas come stabilito dai contratti con le società Ue. La Ue si aspetta che la Russia attivi un sistema di allerta che avverta con largo anticipo semmai le forniture dovessero subire interruzioni. La Ue si aspetta che tutte le parti restino affidabili fornitori e partner di transito, perché è anche nel loro interesse”.
Del resto il nuovo accordo è strategico proprio nell’ottica di un nuovo polo anti-occidentale. Putin e il suo anfitrione cinese Xi Jinping, incontrandosi a Shangai, non hanno avuto difficoltà ad addossare a Washington la responsabilità di aver usato “la tecnologia informatica e di comunicazione per fini contrari al mantenimento della stabilità internazionale”, in un chiaro riferimento alle rivelazioni sullo spionaggio Usa di Wikileaks e dell’ex analista della National Security Agency (Nsa) Edward Snowden, fuggito un anno fa e rifugiatosi prima ad Hong Kong (che è parte della Cina) e poi in Russia. La requisitoria a due voci dei due giganti euro-asiatici ha inoltre coinciso con le accuse di spionaggio cibernetico rivolte dagli Usa a cinque militari cinesi, sdegnosamente respinte come ipocrite da Pechino.
E tuttavia l’alleanza Mosca-Pechino finora stentava a diventare un asse, proprio per le difficoltà a dare concretezza all‘accordo sul gas. Entrambi ne hanno bisogno. Putin per dimostrare che la Russia non è isolata a dispetto delle sanzioni occidentali per la riannessione della Crimea, un territorio abitato in larga parte da russi ma che fa parte dell’Ucraina dagli anni ’50. Pechino per garantirsi almeno in parte i rifornimenti di energia vitali per la sua industria e le sue prospettive di crescita. D’altronde, se la Russia è sotto il tiro dell’Occidente per la questione ucraina, allo stesso modo la Cina è bersaglio di critiche crescenti – non dissimili da quelle rivolte a Mosca – per la sua politica muscolare nel Mar della Cina Meridionale, il cui controllo essa rivendica quasi per intero, e nel Mar della Cina Orientale, dove contende a Tokyo il possesso delle isole Senkaku/Diaoyu.
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