ROMA – Non saremo l’Arabia Saudita o il Texas, ma in Italia di petrolio ce n’è. Ce n’è lungo la dorsale appenninica e quella adriatica, dal Piemonte alla Sicilia e dal Veneto alla Puglia. Il problema è che “ci fa un po’ schifo” prenderlo. In altre parole, nei Comuni interessati, a Nord come a Sud, la maggior parte della amministratori soffre di quello che gli americani chiamano “nimby“: not in my backyard. Ovvero, bene trivellare perché il petorlio è denaro ma che non si faccia a casa mia. Un dato su tutti: la Strategia energetica nazionale (Sen) prevede sia lo sviluppo delle energie alternative ma anche un deciso aumento dell’estrazione di idrocarburi fino a 24 milioni di barili nel 2013. Niente male rispetto agli 11 del 2012.
Insomma, in Italia il petrolio non manca, anzi. Ma le richieste di trivellazione dei petrolieri vengono quasi sempre bocciate. La Stampa fa qualche esempio concreto. A Trecate, provincia di Novara, è stata scoperta una nuova zona di sviluppo potenziale a Carpignano. Ma a giugno un referendum locale ha bocciato chiaramente l’idea dell’Eni di trivellare un pozzo: il no passò con il 93%. A Borgomanero, sempre vicino Novara, fu la britannica Northern Petroleum a voler trivellare ma la protesta dei sindaci bloccò tutto. E giù in Basilicata la musica non cambia: questa Regione nel 2012 ha estratto 5 milioni di barili ma ha risorse non sfruttate per 400 milioni di barili.
Le trivellazioni trovano quasi sempre i geologi contrari. Il problema contestato, solitamente, è la cosiddetta subsidenza, cioè il rischio che il terreno sprofondi. Davide Tabarelli, presidente di Norisma energia, spiega a proposito di questo rischio: “Tutti gli studi geologici dicono di no. Poi qualche singolo geologo disposto a dire che c’è pericolo si trova sempre”. E il petrolio resta dov’è, sotto terra.
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