ROMA – Italia umiliata da Portogallo e Spagna. Balzo in avanti della Penisola Iberica, che ci lascia nella parte bassa dei Paesi Southern Europeans, accanto alla Grecia. Governi di sinistra là, governo di sinistra in Italia, risultati opposti. I progressi messi a segno dal governo di sinistra in Portogallo sono descritti da Luca Veronese sul Sole 24 Ore.
Mai, scrive, “nella storia democratica del Portogallo, dal 1974, si era avuto un disavanzo così esiguo: 913 milioni di euro in un’economia che non arriva nel complesso a 200 miliardi di euro, in netto calo rispetto ai 5,77 miliardi del 2017 che valeva il 3% del Pil. E nei prossimi anni il deficit è previsto in ulteriore ca-lo verso il pareggio di bilancio”.
L’articolo cita il ministro delle Finanze Mario Centeno, il quale rivendica i meriti dell’azione del governo socialista in carica dal 2016: “Abbiamo riavviato un meccanismo virtuoso che partendo dalla crescita, dai conti pubblici e dalla conseguente credibilità ha moltiplicato la fiducia dei mercati che si è tradotta in una riduzione dei tassi di interesse ai minimi storici”.
Ricorda Luca Veronese che fu il precedente governo a portare il Portogallo fuori dal programma internazionale di aiuti dopo che nel 2011 aveva dovuto chiedere alla Ue e al Fondo monetario un prestito di 78 miliardi di euro per evitare il default. Col deficit di bilancio che nella grande crisi era salito fino all’11 per cento.
Il nuovo premier socialista Antonio Costa “ha però saputo continuare il percorso avviato, ha ridato fiducia e prospettiva alle persone e alle imprese”. Fondamentale è stata la spending review, fatta non all’italiana ma in modo serio, attraverso il controllo della spesa e la eliminazione degli sprechi. Allo stesso tempo, ricorda Veronese, il Governo socialista “ha sostenuto i redditi delle famiglie (con particolare attenzione a quelli medio-bassi). Ha inoltre usato la leva fiscale per attirare investimenti dall’estero, an-che in tecnologia e nel settore energetico, e anche dalla Cina”.
La svalutazione interna, ricorda Veronese, ha consentito di rilanciare le esportazioni (che oggi valgono oltre il 40% del Pil): le produzioni tradizionali (pellami, scarpe, tessile, ceramica) si sono riorganizzate, le attività più innovative si sono sviluppate attraendo capitali e risorse umane di qualità, le costruzioni e il turismo hanno dato un ulteriore decisivo contributo alla ripresa”
Persistono – anche a giudizio di Standard& Poor’s – alcune incognite che riguardano il rallentamento dell’economia globale e le difficoltà del settore bancario. “Ma oggi il Portogallo ha di certo una nuova solidità: il rendi-mento dei titoli decennali del debito sono scesi all’1,27% (la metà di quanto rendono i titoli italiani)”.
Fa il paio da Madrid, sempre sul Sole 24 Ore, Enrico Marro: “Nell’ultimo trimestre 2018 il maggior contributo alla crescita dell’Eurozona è arrivato dalla Spagna, il Paese che cresce di più tra le grandi economie continentali. Al quinto anno consecutivo di robusta crescita, il Pil iberico ha chiuso l’anno scorso con un rotondo 2,6%: è vero che è il tasso più basso dal 2014 ma viaggia pur sempre a una velocità quasi tripla rispetto a quella dell’Italia.
“E anche in futuro la crescita economica dovrebbe mantenere un ottimo passo, con la Banca di Spagna che prevede un 2,2% per quest’anno (più del doppio della Germania), un 1,9% nel 2020 e un 1,7% nel 2021”.
E nonostante il caveat della Banca di Spagna sugli effetti negativi sull’occupazione dell’aumento delle retribuzioni minime.
Quello della Spagna, avverte Marro, “è un “miracolo” ancora pieno di contrasti e interrogativi”. “La crescita economica record si accompagna alle irrisolte tensioni autonomiste e soprattutto al maggior numero di disoccupati dell’Unione europea (3,3 milioni) e a uno dei più alti tassi di povertà, oltre che a un tasso di senza lavoro (14%) secondo nella Ue solo a quello della Grecia”.
Dopo la profondissima crisi, la ripresa. Negli ultimi 4 anni “l’occupazione iberica è cresciuta di circa il 3% ciascuno, con una creazione di posti di lavoro negli ultimi due anni di poco inferiore a quella tedesca nonostante una forza lavoro che è meno della metà”.
A fare il controcanto, il commento di un lettore, anonimo ma preciso, secondo il quale ben diverse sono “le vere condizioni di vita dei cittadini della Spagna. Aumentano PIL e produzione ma in realtà peggiorano nettamente le condizioni di benessere ed il potere di acquisto degli Spagnoli. Non lasciatevi prendere in giro da questi dati: la verità è che la ricetta ordoliberista di stampo germanico dell’austerità e della compressione della spesa pubblica – soprattutto quando perpetrata a danno dei servizi essenziali e delle grandi opere – non può che portare arretramento e regresso in tutti i campi, infine anche in quello economico”.
Fonte: Il Sole 24 Ore