Complice la Brexit, il titolo di capitale europea delle startup pareva destinato a Parigi, sede di Station F, detto anche Halle aux 1000 start up, realizzato nei 34 mila metri quadrati della ex stazione merci ferroviaria a ridosso della stazione di Austerlitz.
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Station F è stata aperta nel giugno dell’anno scorso e inaugurata con un discorso delle premier dame Emmanuelle Macron. Ideatore e patron di Station F è l’imprenditore e magnate svizzero delle telecomunicazioni Xavier Niel, che tra i soci fondatori ha coinvolto il colosso Facebook, presente con lo spazio Startup Garden dotato di 80 scrivanie a disposizione per 10-15 startup, e che ha usufruito di apporti anche da parte di Amazon e Microsoft. Titolare di Telco e azionista con il 55% delle società Iliad, che nel 2015 capitalizzava 11 miliardi di euro, co-editore di Le Monde e Nouvel Observateur nonché comproprietario dei diritti di My Way, la mitica canzone di Frank Sinatra, Niel ha stanziato per la sua nuova creatura 200 milioni di euro per metterla in grado di ospitare più di mille startup: con a disposizione oltre 3.000 scrivanie, 60 sale riunioni, 30 docce, 100 appartamenti per gli startupper, un temporary shop e un ristorante con quattro ottime cucine. Le ambizioni erano degne dell’amore francese per la grandeur.
La portavoce di Station F, Rachel Vanier, galvanizzata dall’annuncio del presidente francese Macron di un piano di investimenti pubblici globali in startup e innovazioni per un totale di 10 miliardi di euro, ha assicurato che:
“Il progetto è quello di ricreare una Silicon Valley indoor”.
Per parte sua la signora Macron ha dichiarato con orgoglio:
“Station F sarà “il” luogo in cui l’Europa tecnologica e digitale potrà riunirsi”.
L’ex presidente del Consiglio nazionale per lo sviluppo digitale francese, Mounir Mahjoubi, ha fatto eco assicurando:
“La forza del progetto è la sua dimensione. Station F è un ecosistema in sé. Non stiamo parlando di un campus, si parla di una sorta di città digitale del futuro”.
Ma la grandeur francese sta per essere superata alla grande dal Portogallo, che in fatto di startup pare proprio abbia messo il turbo. Se Station F si estende su 34 mila metri quadri e si basa su uno stanziamento di 200 milioni di euro, Lisbona all’innovazione e annessa imprenditoria ha destinato una cifra doppia, 400 milioni di euro, e un’area quasi tripla, 100 mila metri quadri del quartiere Do Beato, ricco di attività industriali, per dar vita all’Hub Criativo Do Beato. Apertura prevista nel corso del 2018.
Oltre ai 400 milioni di euro, il Portogallo offre incentivi, infrastrutture, facilitazioni e sgravi fiscali decisamente interessanti. Oltre a un costo della vita più basso rispetto Parigi e le altre capitali europee, Lisbona vanta già una discreta rete di giovani “business angel” e società di venture capital, una rete di oltre 80 incubatori certificati e un piano di sviluppo per portare la banda larga nell’intero Portogallo, scuole di ogni ordine e grado comprese. Tutto ciò ha dato vita a una notevole cultura di coworking e a un ambiente teach molto gradito a imprenditori e investitori di tutto il mondo. Ecco perché la capitale portoghese, che come Roma sorge su 7 colli, è decisamente sulla buona strada per soffiare a Parigi il titolo di Silicon Valley europea.
Progettato dall’architetto Julian Breinersdorfer, l’Hub Criativo Do Beato ha tra i suoi partner Mercedes e Factory Berlin, eccellente campus di startup di Berlino. I 100 mila metri quadri sono divisi in quattro grandi aree dedicate rispettivamente ai settori dell’imprenditoria, delle industrie creative, dell’innovazione e conoscenza, delle startup, scaleup e global company.
Tutto ciò non nasce da improvvisazione. Lisbona infatti ha ricevuto già nel 2015 dal Comitato delle Regioni Europee il titolo di “European Entrepreneurial Region”, e la Startup Europe Partnership ha pubblicamente riconosciuto che la pur giovane realtà portoghese delle startup cresce a passo di carica. Effetto anche del programma varato dal governo “Empresa na Hora” (in italiano Impresa in un’Ora) : oltre a concedere tre anni di esenzione dalle tasse permette di costituire un’azienda con la semplice compilazione di un unico modulo.
E’ così che nel novembre 2016 Lisbona ha iniziato a ospitare il Web Summit, vale a dire la conferenza annuale sulla tecnologia nata a Dublino nel 2009 per iniziativa di un 26enne, Paddy Cosgrave, con un pubblico di appena 150 persone e diventata ormai l’evento tecnologico più importante al mondo. Da notare che si tratta di un evento per soli addetti ai lavori, che devono pagare un biglietto d’ingresso piuttosto salato, tra i 700 e i 5.000 euro, a seconda del livello di sviluppo della startup che rappresentano. All’edizione 2016 hanno partecipato 166 Paesi, rappresentanti di 20 mila aziende, 1.500 investitori e 2.000 startup. A quella del novembre dell’anno scorso, organizzata da un sempre più galvanizzato Cosgrave, identico successo: mille ospiti, 1.600 startup, 2.500 giornalisti, 60 mila spettatori, 1.500 investitori in cerca di novità da cavalcare. E nomi come Al Gore, Brian Krzanich di Intel, il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres e l’astrofisico Stephen Hawking.
La capitale lusitana a novembre ospiterà anche l’edizione del 2018, con accessi meno restrittivi e biglietti aumentati di prezzo già in vendita: acquistandone due si paga la metà, 850 euro in totale anziché a testa.
A conclusione dell’edizione 2016 Andrea Di Camillo, managing partner di P101, aveva spiegato a EconomyUp perché l’esempio portoghese può essere utile anche per l’Italia:
“Un Paese che fino a pochi anni fa era confinato al di fuori del radar dell’innovazione e della new economy europea è riuscito a reinventarsi e a diventare il fulcro della futura rete delle startup continentali”.
Con il nuovo e vasto Hub Criativo do Beato la supremazia europea di Lisbona in questo campo ricco di futuro è assicurata anche nei confronti di Parigi. Non solo continueranno a tornare in patria buona parte dei 400 mila laureati emigrati dopo la crisi del 2008, ma arriveranno da tutto il mondo anche stuoli di giovani intraprendenti e capaci che contribuiranno a fare del Portogallo una realtà sempre più dinamica e moderna oltre che una meta ambita per chi guarda al futuro costruendone uno per sé e per gli altri.
E l’Italia? Nel BelPaese le parole di Di Camillo o non sono arrivate o hanno trovato orecchie tappate. Si preferisce straparlare del Portogallo come paradiso dei pensionati. E sì che c’è un partito di grande successo, che aspira al governo nazionale, il giovanissimo M5S, nato per iniziativa di Beppe Grillo e di un innamorato del Web come Gianroberto Casaleggio, ritenuto un guru del settore, socio fondatore e presidente della Casaleggio Associati s.r.l., startup informatica ed editoriale che si occupa di consulenze in materia di strategie di Rete, cioè di Web, e che curava il blog di Beppe Grillo. Ma non abbiamo nulla, neppure nei programmi di governo targati M5S, che somigli sia pure da lontano a quanto il Portogallo è stato capace di fare senza tanti proclami, promesse elettorali, chiacchiere e risse per accaparrarsi la poltrona di primo ministro.