Chico Forti all’ergastolo a Miami. Parlamento: rifare il processo. Il caso: dalla contro-inchiesta su Gianni Versace alla condanna

di Antonio Sansonetti
Pubblicato il 26 Settembre 2014 - 09:04 OLTRE 6 MESI FA

La tesi degli innocentisti. Forti è stato abbindolato da Knott. Sedotto dalla sua personalità, dalla sua affabilità e dallo stile di vita spendi & spandi, l’italiano non fa caso al fatto che il tedesco gli chieda continuamente soldi in prestito. E non bada neanche al fatto che un giorno Knott, comprando una pistola calibro 22, gli chieda la sua carta di credito al momento dell’acquisto. Dale Pike sarà ucciso con una pistola calibro 22. Quando Knott prospetta a Forti l’acquisto del hotel di Tony Pike a Ibiza, l’italiano si lancia senza indugio nell’affare. Pike e Knott sono in combutta, come il gatto e la volpe, per spennare il pollo italiano. Perché Pike, che aveva ridotto la sua partecipazione nel suo hotel al 5%, non detiene più, da un anno, neanche quella quota. Quindi sta vendendo a Forti un “elefante bianco”, vale a dire una cosa che non esiste.

Nel gennaio del 1998 Pike e Forti firmano l’accordo. Chico nel frattempo ha buttato fuori dall’affare Knott perché è venuto a sapere chi fosse in realtà. Qualche giorno dopo Pike chiama Chico per dirgli che suo figlio Dale (42 anni) vorrebbe conoscerlo, ma gli australiani (padre e figlio), non hanno i soldi del biglietto. Chico si offre di pagare il viaggio. Alla fine Tony rinvia la partenza: il 15 febbraio all’aeroporto di Miami arriverà solo Dale. Il padre li raggiungerà il 18 febbraio per concludere l’affare. Dale vuole incontrare Chico non solo per conoscerlo, ma anche perché, sapendolo produttore televisivo, vuole parlargli del suo progetto di un film (con la sua fidanzata attrice come protagonista). L’italiano, d’altra parte, ha promesso a Pike senior che per i successivi tre giorni farà “da balia” a Dale.

L’aereo arriva in ritardo, alle 18.30. E Pike figlio – cambio programma – ha intenzione di passare le seguenti giornate per i fatti suoi. Chiede a Forti di accompagnarlo al parcheggio del ristorante Rusty Pellican, a Kay Biscayne, dove deve vedersi con degli amici di Thomas Knott. Il truffatore tedesco, che per una vita ha svernato all’hotel dei Pike a Ibiza, per Dale è uno di famiglia. Ad aspettare Dale c’è un ispanico, ben vestito, in una Lexus bianca. Chico lo lascia e sgomma verso l’aeroporto dove deve andare a prendere suo suocero.

L’indomani mattina a Sewer Beach, poco distante dal Rusty Pellican, un surfista trova il cadavere di Dale Pike, freddato con due colpi di pistola calibro 22, denudato e con alcuni “effetti personali” lasciati sparsi vicino al corpo, grazie ai quali i poliziotti risalgono subito all’identità della vittima. Il medico legale fissa l’ora della sua morte fra le 20 e le 22 del 15 febbraio, vale a dire una o tre ore dopo che Chico lo ha lasciato nel parcheggio del ristorante.

L’italiano viene a sapere della morte di Dale solo il 18 febbraio, quando non trova Anthony Pike all’appuntamento prefissato. Il 19 febbraio la polizia convoca Chico come “persona informata dei fatti”. Dalla scheda telefonica trovata accanto al cadavere di Dale, risultano una serie di chiamate nel pomeriggio del 15 febbraio, tutte senza risposta, al cellulare di Chico. Che diventa in poco tempo il principale sospettato dell’omicidio. Quando gli investigatori, per testare la sua reazione, gli dicono che anche Anthony Pike è stato ucciso, Forti si spaventa e commette un errore decisivo: mente, dichiarando di non aver mai incontrato Dale. Il giorno dopo ritratta e racconta quello che era successo veramente. Chiama, per chiedere consiglio, Gary Schiaffo, il poliziotto che aveva assunto come investigatore sul caso Versace-Cunanan, ma col quale il rapporto era finito male per questioni di soldi. Schiaffo rassicura Forti: non è lui l’obiettivo degli inquirenti.

Peccato che il 20 febbraio Chico venga arrestato con l’accusa di essere il mandante dell’omicidio di Dale Pike e di frode e circonvenzione di incapace ai danni di Anthony Pike, dal quale avrebbe voluto l’hotel a un prezzo stracciato. Movente dell’assassinio di Dale, che sarebbe volato a Miami proprio per cercare di bloccare la truffa ai danni del padre. Secondo gli innocentisti l’unico truffato, invece, sarebbe stato Chico Forti.

Passano 28 mesi prima che il giudice arrivi a una sentenza. È un tempo eccezionale per la giustizia americana, di solito molto più celere. Una sentenza ingiusta, secondo gli innocentisti, perché assolve Chico Forti dall’accusa di frode e circonvenzione di incapace, che sarebbe il movente del reato più grave, l’omicidio, per il quale invece viene condannato all’ergastolo. Le prove consisterebbero nella pistola calibro 22 che Forti aveva comprato con la sua carta di credito per l’amico Thomas Knott. Pistola mai ritrovata.

“La Corte non ha prove che Lei, signor Forti, abbia premuto materialmente il grilletto, ma ho la sensazione, al di là di ogni dubbio, che Lei sia stato l’istigatore del delitto. I suoi complici non sono stati trovati ma lo saranno un giorno e seguiranno il Suo destino. Portate quest’uomo al penitenziario di Stato. Lo condanno all’ergastolo senza condizionale!”.

E Thomas Knott? Processato e condannato a 15 anni per truffa, non risulta fra le persone interrogate sull’omicidio di Pike. Con un plea agreement (patteggiamento), viene rimandato in Germania. Un compagno di cella di Knott ha dichiarato che quel patteggiamento, il cui contenuto è rimasto segreto, era un accordo col procuratore Reid Rubin per incastrare Chico Forti.

Che con la sua contro-indagine sulla morte di Gianni Versace aveva fatto fare una brutta figura alla polizia di Miami. Al processo Forti troverà a giudicarlo Victoria Platzer, membro della squadra d’indagine, diretta da Gary Schiaffo, sul delitto Versace. In quella squadra c’erano anche gli investigatori che hanno poi indagato sul caso Forti-Pike, Catherine Carter e Confessor Gonzales. Lo stesso Schiaffo, dopo aver rotto con Forti, dopo la pensione era tornato a lavorare come consulente al Dipartimento Criminale di Miami, guidato dall’accusatore di Forti, Reid Rubin. Gli innocentisti riportano il racconto di Chico:

“quando si era presentato al Dipartimento di polizia fornendo le proprie generalità gli era stato subito detto: «Tu sei l’italiano che ha osato affermare che la polizia di Miami è corrotta? Nessuno può dire questo impunemente!»”.

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