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Chico Forti all’ergastolo a Miami. Parlamento: rifare il processo. Il caso: dalla contro-inchiesta su Gianni Versace alla condanna

di admin |26 Settembre 2014 9:19

ROMA – Chico Forti (all’anagrafe Enrico Forti) è un italiano detenuto negli Stati Uniti da 16 anni, condannato all’ergastolo per l’omicidio dell’australiano Dale Pike, del quale si è sempre dichiarato innocente. Il Parlamento italiano con un “sì” unanime ha impegnato il governo a farsi valere in tutte le sedi per tutelare il diritto di Forti a un giusto processo. Il che non significa ad essere assolto “in quanto italiano” ma a non essere condannato sulla base di prove scarse o inesistenti.

Per la sua innocenza si sono schierati Jovanotti, Fiorello, Claudio Cecchetto, Red Ronnie. E sulla sua condanna chi lo ritiene innocente proietta l’ombra del delitto di Gianni Versace, sul quale Forti aveva girato un documentario di contro-inchiesta, “Il sorriso della Medusa”, nel quale aveva messo in discussione la ricostruzione fatta dalla polizia e dalla procura di Miami sull’assassinio dello stilista e sul suicidio del suo presunto killer, Andrew Phillip Cunanan.

Perché Chico Forti protesta la sua innocenza, e perché si è creato un fronte di “innocentisti”? Facciamo un passo indietro. Forti è nato a Trento l’8 febbraio 1959. Nella sua multiforme vita è stato campione di windsurf, pioniere di sport estremi, campione di catamarano, campione di quiz a Telemike, produttore televisivo, immobiliarista. Con un gruzzolo (80 mila dollari) racimolato fra i quiz e i premi vinti col windsurf, Forti sbarca a Miami nel 1992. Qui sposa Heather Crane, ex miss America, dalla quale avrà tre figli.

Forti aveva sfruttato la sua esperienza nel windsurf e negli sport estremi per produrre programmi tv sul windsurf e sugli sport estremi. Vulcanico e iperattivo, è uno di quelli che – se va in America – trova l’America. In un rutilante susseguirsi di avventure imprenditoriali, prende casa a Williams Island, zona vip di Miami. E qui fiuta un business: comprare, con una caparra pari al 10% del valore, appartamenti in cattive condizioni, pignorati in seguito a fallimenti, o in mano a proprietari che non possono più mantenerne gli alti costi. Forti, ottenendo dalle banche mutui ipotecari, paga il restante 90% e ristruttura le case (o ville) con finiture extra lusso. Poi li riaffitta a canoni alti o li rivende guadagnando sulla differenza. Un’attività immobiliare ufficiosa, perché l’italiano non ha il patentino per esercitarla.

A Williams Island le cose vanno a gonfie vele, finché non conosce un istruttore di tennis tedesco, Thomas Knott, che in realtà è un truffatore condannato a 6 anni di reclusione in Germania e scappato negli Stati Uniti nel 1996. Amico di Knott è Anthony Pike, inglese e proprietario del Pikes Hotel a Ibiza, un albergo famoso, simbolo dell’edonismo anni 80: sfondo del videoclip Club Tropicana degli Wham! e teatro della festa di Freddie Mercury per i suoi 41 anni (1987) passata alla storia dei party come una riedizione eighties del Satyricon. Pike è malato di Aids e gli affari non gli vanno benissimo. Quindi Knott prospetta a Forti un affare: comprare l’albergo di Pike a un prezzo stracciato. E qui la versione dei fatti degli innocentisti e quella emersa dalla sentenza che ha condannato l’italiano iniziano a divergere nettamente. Ma prima facciamo un piccolo passo indietro.

Che c’entra il caso Chico Forti con il caso di Gianni Versace? Forti commissionò delle indagini all’investigatore Gary Schiaffo (poliziotto a pochi mesi dalla pensione) sull’assassinio dello stilista calabrese (Miami, 15 luglio 1997) e sulla fine misteriosa del suo killer, Andrew Phillip Cunanan, trovato morto in una house boat, otto giorni dopo l’omicidio di Versace, per un apparente suicidio. Tutto inizia con una proposta del solito Thomas Knott: comprare i diritti per la diffusione delle immagini della house boat. Forti rilancia e produce un documentario, “Il sorriso della Medusa”, in cui mette in discussione tutta la ricostruzione del delitto Versace e della fine di Cunanan fatta dalla polizia americana. Il documentario viene trasmesso in Francia su TF1 e in Italia su Raitre.

>>>TRASCRIZIONE COMPLETA DEL “SORRISO DELLA MEDUSA”

GUARDA “IL SORRISO DELLA MEDUSA”

Report TV (1/ 5) by Chico Forti – Versace, Cunanan. Miami

Report TV (2/ 5) by Chico Forti – Versace, Cunanan. Miami

Report TV (3 / 5) by Chico Forti – Versace, Cunanan. Miami

Report TV (4 / 5) by Chico Forti – Versace, Cunanan. Miami

Report TV (5 / 5) by Chico Forti Versace, Cunanan. Miami

In questo documentario, che in Italia è stato trasmesso tre mesi prima dell’assassinio di Dale Pike e del conseguente arresto di Forti, gli innocentisti vedono una delle ragioni per cui l’ex campione di windsurf avrebbe subito un processo sbrigativo e sommario.

>>>CONTINUA A LEGGERE: LA TESI DEGLI INNOCENTISTI

La tesi degli innocentisti. Forti è stato abbindolato da Knott. Sedotto dalla sua personalità, dalla sua affabilità e dallo stile di vita spendi & spandi, l’italiano non fa caso al fatto che il tedesco gli chieda continuamente soldi in prestito. E non bada neanche al fatto che un giorno Knott, comprando una pistola calibro 22, gli chieda la sua carta di credito al momento dell’acquisto. Dale Pike sarà ucciso con una pistola calibro 22. Quando Knott prospetta a Forti l’acquisto del hotel di Tony Pike a Ibiza, l’italiano si lancia senza indugio nell’affare. Pike e Knott sono in combutta, come il gatto e la volpe, per spennare il pollo italiano. Perché Pike, che aveva ridotto la sua partecipazione nel suo hotel al 5%, non detiene più, da un anno, neanche quella quota. Quindi sta vendendo a Forti un “elefante bianco”, vale a dire una cosa che non esiste.

Nel gennaio del 1998 Pike e Forti firmano l’accordo. Chico nel frattempo ha buttato fuori dall’affare Knott perché è venuto a sapere chi fosse in realtà. Qualche giorno dopo Pike chiama Chico per dirgli che suo figlio Dale (42 anni) vorrebbe conoscerlo, ma gli australiani (padre e figlio), non hanno i soldi del biglietto. Chico si offre di pagare il viaggio. Alla fine Tony rinvia la partenza: il 15 febbraio all’aeroporto di Miami arriverà solo Dale. Il padre li raggiungerà il 18 febbraio per concludere l’affare. Dale vuole incontrare Chico non solo per conoscerlo, ma anche perché, sapendolo produttore televisivo, vuole parlargli del suo progetto di un film (con la sua fidanzata attrice come protagonista). L’italiano, d’altra parte, ha promesso a Pike senior che per i successivi tre giorni farà “da balia” a Dale.

L’aereo arriva in ritardo, alle 18.30. E Pike figlio – cambio programma – ha intenzione di passare le seguenti giornate per i fatti suoi. Chiede a Forti di accompagnarlo al parcheggio del ristorante Rusty Pellican, a Kay Biscayne, dove deve vedersi con degli amici di Thomas Knott. Il truffatore tedesco, che per una vita ha svernato all’hotel dei Pike a Ibiza, per Dale è uno di famiglia. Ad aspettare Dale c’è un ispanico, ben vestito, in una Lexus bianca. Chico lo lascia e sgomma verso l’aeroporto dove deve andare a prendere suo suocero.

L’indomani mattina a Sewer Beach, poco distante dal Rusty Pellican, un surfista trova il cadavere di Dale Pike, freddato con due colpi di pistola calibro 22, denudato e con alcuni “effetti personali” lasciati sparsi vicino al corpo, grazie ai quali i poliziotti risalgono subito all’identità della vittima. Il medico legale fissa l’ora della sua morte fra le 20 e le 22 del 15 febbraio, vale a dire una o tre ore dopo che Chico lo ha lasciato nel parcheggio del ristorante.

L’italiano viene a sapere della morte di Dale solo il 18 febbraio, quando non trova Anthony Pike all’appuntamento prefissato. Il 19 febbraio la polizia convoca Chico come “persona informata dei fatti”. Dalla scheda telefonica trovata accanto al cadavere di Dale, risultano una serie di chiamate nel pomeriggio del 15 febbraio, tutte senza risposta, al cellulare di Chico. Che diventa in poco tempo il principale sospettato dell’omicidio. Quando gli investigatori, per testare la sua reazione, gli dicono che anche Anthony Pike è stato ucciso, Forti si spaventa e commette un errore decisivo: mente, dichiarando di non aver mai incontrato Dale. Il giorno dopo ritratta e racconta quello che era successo veramente. Chiama, per chiedere consiglio, Gary Schiaffo, il poliziotto che aveva assunto come investigatore sul caso Versace-Cunanan, ma col quale il rapporto era finito male per questioni di soldi. Schiaffo rassicura Forti: non è lui l’obiettivo degli inquirenti.

Peccato che il 20 febbraio Chico venga arrestato con l’accusa di essere il mandante dell’omicidio di Dale Pike e di frode e circonvenzione di incapace ai danni di Anthony Pike, dal quale avrebbe voluto l’hotel a un prezzo stracciato. Movente dell’assassinio di Dale, che sarebbe volato a Miami proprio per cercare di bloccare la truffa ai danni del padre. Secondo gli innocentisti l’unico truffato, invece, sarebbe stato Chico Forti.

Passano 28 mesi prima che il giudice arrivi a una sentenza. È un tempo eccezionale per la giustizia americana, di solito molto più celere. Una sentenza ingiusta, secondo gli innocentisti, perché assolve Chico Forti dall’accusa di frode e circonvenzione di incapace, che sarebbe il movente del reato più grave, l’omicidio, per il quale invece viene condannato all’ergastolo. Le prove consisterebbero nella pistola calibro 22 che Forti aveva comprato con la sua carta di credito per l’amico Thomas Knott. Pistola mai ritrovata.

“La Corte non ha prove che Lei, signor Forti, abbia premuto materialmente il grilletto, ma ho la sensazione, al di là di ogni dubbio, che Lei sia stato l’istigatore del delitto. I suoi complici non sono stati trovati ma lo saranno un giorno e seguiranno il Suo destino. Portate quest’uomo al penitenziario di Stato. Lo condanno all’ergastolo senza condizionale!”.

E Thomas Knott? Processato e condannato a 15 anni per truffa, non risulta fra le persone interrogate sull’omicidio di Pike. Con un plea agreement (patteggiamento), viene rimandato in Germania. Un compagno di cella di Knott ha dichiarato che quel patteggiamento, il cui contenuto è rimasto segreto, era un accordo col procuratore Reid Rubin per incastrare Chico Forti.

Che con la sua contro-indagine sulla morte di Gianni Versace aveva fatto fare una brutta figura alla polizia di Miami. Al processo Forti troverà a giudicarlo Victoria Platzer, membro della squadra d’indagine, diretta da Gary Schiaffo, sul delitto Versace. In quella squadra c’erano anche gli investigatori che hanno poi indagato sul caso Forti-Pike, Catherine Carter e Confessor Gonzales. Lo stesso Schiaffo, dopo aver rotto con Forti, dopo la pensione era tornato a lavorare come consulente al Dipartimento Criminale di Miami, guidato dall’accusatore di Forti, Reid Rubin. Gli innocentisti riportano il racconto di Chico:

“quando si era presentato al Dipartimento di polizia fornendo le proprie generalità gli era stato subito detto: «Tu sei l’italiano che ha osato affermare che la polizia di Miami è corrotta? Nessuno può dire questo impunemente!»”.

>>>CONTINUA A LEGGERE: LA VERSIONE DEI COLPEVOLISTI, L’INCHIESTA DI ROBERTA BRUZZONE, LA MOZIONE DEL PARLAMENTO ITALIANO

La versione dei colpevolisti. Cinque appelli per la revisione del processo Forti sono stati rifiutati da cinque diverse Corti americane. Perché? Secondo i “colpevolisti” i Pike erano ancora proprietari dell’albergo a Ibiza, quindi Tony Pike non era in combutta con Knott per vendere un “elefante bianco” a Forti, ma era l’italiano a essere in combutta con il tedesco per soffiare l’albergo a Pike a pagandolo la miseria di 25 mila dollari, come risulta da documenti ritrovati dagli investigatori. Dale aveva scoperto che qualcosa non andava ed era venuto di persona a verificare. Fra gli indizi portati al processo dagli inquirenti, c’è quella del cellulare di Forti, che avrebbe fatto chiamate dal punto in cui era poi stato ritrovato il cadavere di Dale Pike. Poco prima dell’assassinio di Pike, Forti e Knott avevano comprato la calibro 22 pagata da Forti e registrata a nome di Knott. Il giorno dopo la morte Forti aveva lavato la sua Land Rover, ma i detective riuscirono lo stesso a trovare dei granelli di sabbia risultati identici ai campioni raccolti accanto al cadavere di Dale Pike. L’avvocato di Forti al processo non era Ira Loewy (accusata dagli innocentisti di incompetenza), ma un potente ex senatore, Donald Bierman. Essendogli contestato un omicidio di primo grado, cioè volontario e premeditato, Chico fu giudicato da una giuria popolare. Quindi, deducono i colpevolisti, Forti fu difeso bene e giudicato da semplici cittadini che non potevano essere in combutta con polizia e procuratori che volevano vendicarsi della storia di Versace. Alla fine ci misero solo 90 minuti per arrivare a una sentenza.

Roberta Bruzzone. Ad alcuni di questi rilievi risponde la criminologa Roberta Bruzzone, che sul caso di Forti ha scritto un libro, “Il Grande Abbaglio”

La mozione del Parlamento Italiano: la Camerà ha votato, con un “sì” unanime, le mozioni sulle iniziative per tutelare Enrico Forti, “cittadino italiano detenuto da 16 anni negli Stati Uniti con l’accusa di omicidio”. I testi approvati impegnano il governo “ad assumere in ogni sede qualsiasi iniziativa di competenza per tutelare il concittadino Enrico Forti, come più volte in precedenza il Governo italiano ha ritenuto di dover fare in difesa di altri concittadini condannati e detenuti all’estero, considerato anche il fatto che lo Stato italiano intrattiene con il Governo degli Stati Uniti ottimi rapporti diplomatici che hanno portato anche di recente alla soluzione di casi giudiziari controversi”

Michela Rostan, Pd:

“La richiesta di Chico Forti non è di essere dichiarato innocente e liberato, ma di essere sottoposto ad un processo giusto, approfondito, nel quale poter esercitare a pieno il proprio diritto di difesa. E’ una richiesta giusta, umanamente e costituzionalmente ineccepibile, che noi, parlamentari italiani, dobbiamo in modo fermo e convinto sostenere. in ballo non c’è solo il destino di un uomo, ma la salvaguardia di un principio universale di fronte al quale non possiamo in alcun modo voltare le spalle”. Così Michela Rostan, deputata pd, nella dichiarazione di voto in Aula per la mozione su Chico Forti, il cittadino italiano detenuto da 12 anni negli Stati Uniti. “In gioco non c’è solo la vita di un uomo ma l’affermazione di un principio universale, quello del giusto processo, intimamente connesso alla pienezza del diritto di difesa che deve essere assicurato a tutti i cittadini dinanzi alla legge – prosegue Rostan – Ed è in nome dell’universalità di questa battaglia che il partito democratico sostiene l’accoglimento di questa mozione. Non ritengo che Chico sia innocente, sia ben chiaro: questo spetterà stabilirlo alla magistratura americana, nella quale continuo a nutrire piena fiducia. Ma sta a noi, invece, il compito di assicurare che le autorità italiane lavorino affinché al nostro concittadino sia riconosciuto il diritto a difendersi nel processo e non dal processo”.

Lorenzo Dellai, Per l’Italia:

“Esprimo grande soddisfazione per l’approvazione da parte della Camera della mozione sul caso del cittadino trentino Chico Forti. La presa di posizione del Parlamento si aggiunge all’iniziativa di molti cittadini che chiedono che sia fatta verità su questo incredibile caso. Confidiamo che il documento approvato possa essere utile in questa direzione”.

Mauro Ottobre, PATT:

“L’impegno affinché Chico Forti, da quattordici anni ingiustamente detenuto negli Usa, abbia giustizia è da oggi un impegno del Parlamento italiano. Il voto unanime con cui la Camera ha approvato la mozione a mia prima firma, con il parere favorevole del governo, fa assumere alla battaglia per Chico Forti i caratteri di una posizione istituzionale e di governo che possa concorrere e sostenere il percorso, sotto il profilo penale, che ha come obiettivo essenziale la revisione del processo”. E’ quanto dichiara Mauro Ottobre, deputato del PATT. “Il voto della Camera è stato oggi un voto contro il pregiudizio. Si apre una nuova prospettiva nella quale il consenso nei confronti delle istanze di giustizia e libertà di Chico Forti non è più espressione di una minoranza, che pure ha avuto il merito di operare laddove altrimenti sarebbe stato dominante il silenzio, ma di uno schieramento sempre più diffuso e ampio nel Paese. Abbiamo apprezzato, in aula e nel corso di questi mesi, la posizione assunta dal governo italiano che ha ribadito la volontà di non abbandonare Chico Forti e di operare, per quanto nelle proprie opportunità, a sostegno della sua domanda di giustizia. In primo luogo – ha affermato Ottobre -rinnovo il mio apprezzamento per le iniziative e le posizioni del Ministro degli Affari Esteri, Mogherini”. “Il consenso unanime, trasversale agli schieramenti di maggioranza e opposizione, si è manifestato con la sottoscrizione della mozione e nella discussione e nel voto in aula alla Camera in ordine al principio del giusto processo, che nel nostro Paese è principio costituzionale ed a cui l’Italia è vincolata in sede internazionale. Chico Forti chiede un giusto processo, diritto che gli è stato negato con la sua immotivata condanna, con un verdetto che è stato pronunciato al di fuori di ogni principio giuridico. Vi sono prove certe del fatto che egli sia innocente e che dimostrano come la condanna di colpevolezza sia avvenuta non soltanto sulla base di indizi contraddittori o inesistenti ma anche di un pregiudizio sostanziale. Oggi -ha concluso Ottobre- un giusto processo appare più che possibile, grazie all’impegno di tutti i volontari che hanno sostenuto Forti in questi anni, all’opera del suo avvocato difensore Joe Tacopina, perché motivato da nuove e inequivocabili prove a suo favore. e da oggi con il voto del Parlamento”.

 

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