FIRENZE – Il David testimonial di un fucile. Secondo ArmaLite Inc, un’azienda produttrice di armi con sede nell’Illinois, ha deciso, per la sua nuova campagna pubblicitaria, di far imbracciare alla scultura di Michelangelo, simbolo di Firenze e dell’arte italiana nel mondo, l’AR 50A1, un enorme fucile di tipo “bolt action” dal valore di oltre 3 mila dollari. Ad accompagnare il fotomontaggio, lo slogan “A work of art” (un’opera d’arte, ndr).
La foto diffusa su riviste americane specializzate in armamenti come Rifle Firepower, è stata pubblicata ieri da l’Espresso, scatenando un putiferio nel mondo dell’arte.
“Diffideremo l’azienda dal continuare a divulgarla”, annuncia la soprintendente al Polo museale fiorentino Cristina Acidini. Già perché l’opera di Michelangelo, custodita dal 1873, quando fu tolta da piazza della Signoria, alla Galleria dell’Accademia, è protetta da diritti, e un suo utilizzo a scopo pubblicitario è subordinato, per legge, al rilascio di un permesso da parte dell’ente titolare e al pagamento di un canone.
“Per sfruttare a scopo promozionale il David, così come qualunque altra opera custodita nei nostri musei – spiegano dall’ufficio permessi di via della Ninna – è necessaria una valutazione della congruità dell’immagine, che deve rispettarne la dignità culturale. In passato, campagne pubblicitarie di aziende italiane sono state autorizzate dietro valutazione del direttore e decisione della soprintendente”.
A sostenere la posizione della soprintendente è Sergio Givone, filosofo esteta e assessore alla cultura di Palazzo Vecchio: “Quella pubblicità rappresenta un oltraggio forte. E’ un atto di violenza nei confronti della scultura: come prenderla a martellate e forse, anzi, persino peggio. In questo caso viene snaturata la natura stessa del David, un’opera il cui significato è quello di rappresentare la libertà del cittadino di fronte agli abusi del potere. Quello ritratto da Michelangelo è un giovane uomo inerme, pronto a sfidare Golia con una semplice fionda: qua gli viene dato un enorme fucile. Oltre all’abuso, c’è la falsificazione”.