Giulio Andreotti è morto: le foto del “Divo Giulio”

ROMA – Giulio Andreotti è morto all’età di 94 anni. Nessuno come lui può dire di aver fatto l’Italia, nemmeno il Conte di Cavour. Se questi l’Italia la pensò, la volle e la sognò (ma non la vide), Andreotti di sogni non ne ebbe mai molti. Di volontà però ne ebbe tanta, e soprattutto capacità di pensiero. Molto più di pensiero che si azione, se è vero che lo riformarono in malo modo alla visita di leva e lui, divenuto ministro della difesa, andò a vedere che fine avesse fatto quell’ufficiale medico, per scoprire che se lo era portato via un infarto prima del tempo.

Andreotti, più di Cavour, ci ha lasciato l’Italia che conosciamo, con i suoi pregi (che sono molti) e i suoi difetti (che sono altrettanti). Lui il Paese lo ha lentamente e costantemente plasmato, con quella capacita’ di vedere e intervenire prima degli altri con una prontezza che Manzoni mise in bocca al conte Zio e Guicciardini indica, nei suoi “Ricordi”, come una delle vere cifre dello statista.
Non a caso Andreotti è  stato l’unico politico italiano a divenire una leggenda ancora da vivo. Come tutte le leggende, ha sempre diviso in due campi chi ne parlava. I suoi detrattori a sinistra lo chiamavano Belzebù (tradendo però una involontaria ammirazione per le sue presunte arti mefistofeliche), i suoi ammiratori a sinistra (ne aveva) al centro e anche a destra (ne aveva pure qui) ne hanno sempre parlato come l’unico vero statista moderno del paese. Più di Aldo Moro, più di Alcide De Gasperi. Addirittura.

Lui e Aldo Moro si conoscevano dai tempi della Fuci, la federazione universitaria dell’Azione Cattolica. Sotto il fascismo la Fuci era guardata con sospetto perche’ era esattamente quello che Mussolini intuiva: non un covo di oppositori in armi, ma il campetto dove si addestravano quanti si stavano preparando al momento in cui il regime avrebbe dimostrato la sua caducità. Lui e De Gasperi invece si conobbero un po’ più tardi, auspice il Cardinal Montini, e presto ne divenne sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Quando andavano in chiesa, si prese a dire nella Roma del dopoguerra, De Gasperi parlava con Dio, il suo assistente con il sacrestano.

Chissà se è  vero, o se è uno dei tanti aneddoti che lo stesso Andreotti non disdegnava di alimentare. Fatto sta che Andreotti non ebbe mai con il Vaticano quel rapporto di profonda affezione e sofferta insofferenza che invece ebbe il suo primo mentore. Al quale si deve il conferimento del primo incarico governativo all’allievo tanto promettente, e che ricompenso’ con il tempo tutta questa fiducia divenendo (in ordine di importanza): sette volte presidente del Consiglio; otto volte ministro della difesa; cinque volte ministro degli esteri; tre volte ministro delle partecipazioni statali; due volte ministro delle finanze; una volta ciascuno ministro degli interni, delle politiche comunitarie e del tesoro.

Si sente dire ne “Gli onorevoli”, storico film di Totò del 1963: “Non c’è rosa senza spine, non c’è governo senza Giulio”. Erano 50 anni fa esatti, e a Giulio mancava ancora un bel pezzo di carriera.

(Foto Ansa)

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