CREMONA – In riva al Po, tra gli 80 mila e i 130 mila anni fa, al tempo del rinoceronte preistorico e forse anche del Neanderthal Paus, viveva un grosso felino, alto 60 centimetri al garrese e lungo oltre due metri, compresa la coda. Il nome scientifico è Pantera Pardus, meglio conosciuto come il Leopardo del Po. Agile e scattante, predatore infallibile, stava accovacciato sugli alberi per tendere agguati feroci alle sue prede. Su una spiaggia tra Spinadesco e Cremona, una zona già teatro di ritrovamenti importanti, sono riaffiorati alcuni suoi resti. In particolare è stata rinvenuta una tibia dell’animale, un fossile rarissimo, conservatosi perfettamente.
A trovarlo è stato il cremonese Renato Bandera, 68 anni, conoscitore del fiume e raccoglitore di fossili di lunga data: lo ha notato nei pressi di un tronco e lo ha consegnato al Museo Paleoantropologico di San Daniele Po (Cremona). Pensava fosse un osso umano, al quale in effetti assomiglia, ma le prime analisi morfologiche hanno dato un esito inaspettato: la tibia, lunga circa 23 centimetri, apparteneva a un felino preistorico, forse a una femmina di leone delle caverne o molto più probabilmente a un grosso maschio di leopardo.
Morfologicamente il leopardo del Po era identico ai leopardi attuali, ma non è da escludere che avesse qualche caratteristica differente, che potrebbe essere individuata solo attraverso un’analisi del dna. Come Paus e Rino, l’uomo di Neanderthal e il rinoceronte del Po di cui sono stati rinvenuti i crani negli anni scorsi, anche il leopardo viveva nei pressi del fiume, in un ambiente diverso da quello attuale: una pianura vastissima, ricca di foreste e di paludi. Adesso il reperto verrà studiato dagli esperti del museo, il sindaco e fondatore Davide Persico e il direttore Simone Ravara.
“Un fossile come questo non era ancora stato rinvenuto – spiega Persico – anche perché i predatori sono molti di meno rispetto alle prede, quindi è una scoperta importantissima. Quando ho visto la tibia ho sospettato potesse appartenere a un felino, ma la conferma è arrivata dopo un confronto con Martin Sabol, esperto dell’Università di Bratislava, contattato dopo una serie di accertamenti, ovvero un’analisi morfologica, una serie di confronti con immagini di tibie fossili offerte da un collezionista americano e un consulto con alcuni studiosi italiani”.
Soddisfatto anche Ravara:
“Il fossile arricchisce la collezione del museo – afferma – inoltre il ritrovamento rappresenta un passo avanti fondamentale per gli studi sulla nostra pianura”.