ROMA – Lucio Battisti era nato il giorno dopo Lucio Dalla. Apparteneva dunque a quella generazione (anche Mick Jagger è del ’43) venuta al mondo nei primi anni ’40 che, attraverso la musica, ha cambiato il mondo.
E’ difficile immaginare che l’uomo che aveva ostinatamente tagliato i ponti con il mondo esterno e che si è spento il 9 settembre 1998 (per una malattia tenuta segreta) avrebbe potuto apprezzare le celebrazioni per il suo 70/o compleanno. Ma il programmatico impegno con cui lui, e chi gli stava vicino, ha tentato di tagliare i ponti con il suo passato più glorioso e creativamente felice non è riuscito a impedire che il mito continuasse a fiorire. Lucio Battisti ha permesso alla canzone italiana di allargare i suoi confini e di misurarsi con quell’approccio creativo e quella voglia di sperimentare che appartengono ai grandi della musica internazionale.
Grazie a lui il pubblico italiano ha scoperto canzoni di successo che incorporavano gli elementi più vitali del rock e della musica nera, prima di avventurarsi verso un concetto di elettronica sicuramente personale ma che lo ha progressivamente portato ai limiti dell’autoreferenzialità. Con buona pace di alcune frange di fan, il Lucio Battisti che ha fatto la storia è quello del periodo con Mogol, il paroliere con cui ha firmato i brani che lo hanno portato nel mito e con cui ha formato un sodalizio artisticamente perfetto e che, con i suoi alti e bassi,è diventato parte del mito.
Il percorso che va dall’album di debutto, Lucio Battisti, a Hegel, ultimo titolo della sua discografia, è il tragitto di un un artista e di un uomo che è sempre stato a disagio con la notorietà, convinto che chi fa musica debba essere giudicato esclusivamente per quello che scrive e canta. La sua naturale avversione per i meccanismi del mercato e dei media e le progressive riserve sulla possibilità di riprodurre dal vivo le sonorità ottenute in sala di registrazione hanno condizionato il suo rapporto con le esibizioni dal vivo, nonostante fosse un performer straordinario come dimostrano alcune apparizioni televisive, in particolare il duetto del 1972 con Mina a Studio 10, che rimane una delle più emozionanti pagine della storia della tv italiana.
Vale anche la pena ricordare che nei primi anni della sua carriera, Battisti, che inizialmente era scettico sul suo talento di cantante, fu ferocemente criticato per il suo stile vocale. Il suo è un caso di scuola di genio fuori dai canoni: sicuramente la sua voce non aveva un timbro accademicamente corretto né possedeva un’estensione da virtuoso. Ma lui aveva trasformato i suoi limiti in una risorsa e proprio per questo non solo era inconfondibile ma ha lasciato il timbro indelebile dell’individualità. La storia di Lucio Battisti ricorda da vicino quella di altri grandi che hanno passato una vita tentando di liberarsi da un passato che può diventare soffocante.
Ma l’effetto che la musica creata nei suoi anni d’oro continua ad avere sulla storia del costume del nostro Paese è talmente potente da rendere inevitabile mettere in secondo piano i suoi ultimi album nonostante abbiano anticipato alcune soluzioni sonore entrate poi nel lessico musicale di artisti più giovani di lui. Compreso il fatto che sia stato uno dei primi artisti italiani a capire l’importanza decisiva del lavoro in studio di registrazione. Per l’occasione, Sony pubblica ‘Lucio Battisti 70mo’: in quattro cd l’antologia unisce per la prima volta i successi dell’era Mogol, le canzoni scritte da Battisti con Pasquale Panella, rarità in inglese e spagnolo.
(Foto Ansa)