Pigneto-Torpignattara: chi era Muhammad Shahzad Khan ucciso in via Pavoni. Sulla sua morte due versioni

ROMA – Chi era Muhammad Shahzad Khan, ventottenne pakistano ucciso la notte del 18 settembre da un diciassettenne romano in via Pavoni, zona Marranella (Pigneto-Torpignattara, periferia sud est di Roma)? Non era un clandestino, non era un ubriacone, aveva una moglie e un figlio di tre mesi che non ha fatto in tempo a vedere. Sulla sua morte ci sono due versioni dei fatti. E nel quartiere proseguono iniziative di solidarietà e mobilitazioni. Come il piccolo corteo “contro la guerra fra poveri” che alle 17 di domenica 28 settembre partirà da Piazza della Marranella per arrivare nel punto in cui Shahzad ha trovato la sua morte violenta.

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Chi era la vittima. Innanzitutto il nome, che è stato storpiato in Mohamed Shanzad, Mohammad, Muhamed: si chiamava Muhammad Shahzad Khan. Per chi lo conosceva, come lo zio e il cugino che sono accorsi a Roma quando hanno saputo della sua morte, era semplicemente Shahzad. A precisarlo, intervistato da Redattore Sociale, è Ejaz Ahmad, giornalista e mediatore culturale, punto di riferimento per la comunità pakistana a Roma, alla quale è rivolto il giornale che dirige, Azad. Fa notare: “Se scrivo Luigi o Likgi non è la stessa cosa”.

La ricostruzione della biografia di Shahzad aiuta a capire meglio il contesto della sua morte violenta. Era nato a Bagh Ajk City, nel Kashmir pakistano, il 28 aprile 1986. Primogenito di una famiglia povera, a 21 anni era partito per l’Italia. Si era messo subito in regola con il permesso di soggiorno sfruttando il decreto flussi del 2007, aiutato da un cugino che era in Italia dal 1989. Aveva iniziato a lavorare subito come collaboratore domestico, e nel tempo rimanente come cuoco nel ristorante pakistano di suo zio, in zona Prati. Nel 2010 si era messo a frequentare la scuola d’italiano alla Comunità di Sant’Egidio. Ma il suo problema più grande nel farsi capire era la sua balbuzie.

La prima volta, dopo tanto tempo, che era tornato in Pakistan, si era sposato con Ulfat Jan. La sua ultima volta in Pakistan era stata esattamente un anno fa. E in quell’occasione mise incinta la moglie. A giugno 2014 era nato suo figlio, Omar. Ma nel frattempo per Shahzad le cose si erano messe male. Lo zio si era trasferito a Londra ed era rimasto senza lavoro. Dopo aver cercato invano una nuova occupazione, si era messo a vendere fiori e accendini. Si era rivolto al Comune di Roma che lo aveva sistemato in un centro di accoglienza, ed è lì che è andato a dormire, fino all’ultima notte. Le difficoltà degli ultimi tempi, la frustrazione per non avere i soldi per volare in Pakistan a conoscere suo figlio, lo aveva turbato o aveva accentuato problemi pregressi. Si era aggrappato alla sua religiosità.

Così gli capitava di aggirarsi nella zona della Marranella cantando, come una nenia da muezzin disperato, le sure del Corano, vestito in abiti religiosi. Nei paesi islamici è normale farlo, è un piccolo sfogo per consolarsi. In un quartiere dell’incazzata periferia romana, per multietnico che sia, qualcuno può averlo trovato molesto. La sua religiosità è un elemento importante per ricostruire le circostanze della sua morte. Come può uno cantare le sure del Corano ubriaco? Non ci sarebbe nulla di più blasfemo. I bar della zona e chi lo conosceva smentiscono la versione dell’ubriaco molestatore di passanti. In ossequio ai dettami della sua religione, Shahzad non beveva. I baristi raccontano: qui entrava, ma solo per chiedere un caffè. Se non era ubriaco, la ricostruzione dei fatti circolata finora non regge. E infatti ci sono due versioni che si scontreranno al processo.

La versione dell’accusa. Shahzad era un po’ turbato, poteva sembrare strano e le sure del Corano cantate a ripetizione possono dare fastidio, ma non era uno che si metteva a molestare i passanti. In quanto “strano”, diverso e di corporatura gracile, la sera in cui è morto è stato preso di mira da un gruppo di ragazzetti del quartiere. Ragazzetti che conoscevano Shahzad, che avevano amici figli di pakistani bengalesi e altri stranieri, ragazzetti che erano conosciuti dalla comunità pakistana della Marranella, ma che erano molto cambiati da quando erano bambini. Incattiviti, imbulliti. Secondo l’accusa non fu un pugno ad uccidere Shahzad, ma un pestaggio compiuto da più persone. E mentre Daniel ed altri si accanivano sulla vittima, a chi si affacciava dalle finestre per gridare di smetterla, arrivavano minacce. Era una scena ben diversa quindi, da quella di un incontro più o meno casuale com protagonisti solo Shahzad, Daniel e un suo amico.

La versione della difesa. Daniel non era un razzista, perché era cresciuto in mezzo a non italiani e aveva tanti amici col colore della pelle diverso dal suo, figli di stranieri. Daniel non era in grado di uccidere di botte una persona, per quanto gracile come Shahzad, perché è alto poco più di un metro e sessanta e pesa 50 kg. Quella notte era in compagnia di un amico e ha incrociato Shahzad, che era ubriaco, molestava i passanti e lo ha sputato. Lui per reazione gli ha dato un pugno. Il pakistano è caduto ed è morto perché ha battuto la testa, o forse perché aveva preso altri colpi in precedenza, magari da altri passanti infastiditi. Daniel non aveva nessuna intenzione di uccidere e non pensava neanche di aver ucciso Shahzad. Prova ne è il fatto che non è scappato, è rimasto sul luogo, accanto al corpo della vittima, fino all’arrivo di volanti e ambulanze. Si è subito fatto avanti dicendo di essere stato lui a colpire Shahzad, anche se con un solo pugno.

Quando c’è stata la manifestazione di solidarietà per Daniel, il Tempo ha intervistato la madre e il fratello del ragazzo arrestato per omicidio preterintenzionale. Ecco il video:

Ci sono quindi due versioni dei fatti e una prova che sarà dirimente sull’esito delle indagini: il risultato dell’autopsia, che accerterà come e quanto sia stato colpito Shahzad.

Nel frattempo, continuano le iniziative di solidarietà nel quartiere. Venerdì 26 la Comunità di Sant’Egidio ha organizzato un incontro alla vicina chiesa di San Barnaba, conclusosi poi con la deposizione di un mazzo di fiori e di un ricordo della vittima sul luogo in cui è stato ucciso. La comunità pakistana ha organizzato per domenica 28, alle 18 una commemorazione di Shahzad: una piccola marcia della pace nel quartiere che inizierà in via della Marranella e si concluderà in via Pavoni. Con l’obiettivo, tra l’altro, di lanciare una colletta per raccogliere i 3.500 euro necessari per la spedizione della salma in Pakistan.

Quanto ai mille problemi del Pigneto e di Torpignattara, è stato rimandato l’incontro previsto venerdì 26, nella sala consiliare di Piazza della Marranella fra i comitati di quartiere e il vicesindaco di Roma Luigi Nieri. Il giorno dopo la morte di Khan, pulizie straordinarie sono state effettuate dall’Ama in via della Marranella.

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