ROMA – Una grande edicola per il culto dei Lari, custodita da una coppia benaugurante di sinuosi serpenti, un pavone solitario che fa capolino nel verde, fiere dorate in lotta con un cinghiale nero e brutto come i mali del mondo. E poi ancora, cieli baluginanti dove prendono il volo delicati uccellini, un pozzo, una grande vasca colorata, il ritratto di un uomo con la testa di cane. Visitato in esclusiva dall’ANSA, con gli archeologi e i restauratori ancora al lavoro tra i tubi innocenti che sostengono le millenarie murature, eccolo l’ultimo tesoro restituito da Pompei.
Un piccolo, straordinario, giardino incantato emerso incredibilmente integro dalla coltre di pomici e lapilli che lo aveva sepolto quasi duemila anni fa, i colori abbacinanti, le figure così belle che quasi appaiono vive in un gioco continuo tra illusione e realtà. “Una stanza meravigliosa ed enigmatica che ora dovrà essere studiata a fondo”, sottolinea appassionato il direttore del Parco Archeologico, Massimo Osanna.
La presenza del maestoso larario, il più grande fino ad ora mai scoperto a Pompei, offre certezze sul fatto che questo giardino, che all’epoca era forse in parte coperto da tettoie, fosse un luogo domestico dedicato al culto dei Lari, nel mondo romano di allora insostituibili protettori della casa e della famiglia. Sotto alla grande edicola, dove gli archeologi hanno ritrovato intatta anche una lucerna di bronzo, lo testimonia la raffinata ara dipinta sul muro, con le offerte appena immolate al fuoco, una pigna, due grandi uova, succulenti fichi e datteri colore dell’oro. E la conferma arriva dall’arula in terracotta che è ancora lì, poggiata come duemila anni fa ai piedi di quell’edicola, con i resti carbonizzati delle offerte bruciate, chissà, forse proprio nelle ore drammatiche che hanno preceduto l’arrivo della lava e della furia piroplastica.
Ancora un mistero, invece, resta chi fosse il proprietario di questa casa, che si trova a pochi metri da un’altra ricca abitazione, quella di Marco Lucio Frontone, e che certo doveva essere grande e decisamente opulenta, come dimostrano i numerosi ambienti scavati nell’800 oggi purtroppo spogliati di tutto, le mura glabre ridotte a scheletri muti dello sfarzo che fu. “Forse un ricco commerciante, senz’altro una personalità raffinata e colta”, ipotizza Osanna.
Certamente un uomo in grado di pagare le migliori maestranze e di commissionare per il suo giardino pitture che non avevano uguali nelle altre domus della città, pure in quel periodo della vita di Pompei, l’ultimo, nel quale l’Oriente era decisamente di moda e nelle case più ricche era tutto un tripudio di frutti e di animali esotici. Tutte cose che si ritrovano nel giardino incantato, ma sempre, sottolinea l’archeologo, con qualche particolarità che fa di questa stanza a cielo aperto un “luogo decisamente unico”. Nuove sorprese ora potrebbero arrivare dallo scavo delle stanze che si affacciavano su quel giardino, dove solo la grata di una finestra impastata di lava e di detriti resta il memento drammatico dell’apocalisse arrivata dal Vesuvio.
Intanto anche gli operai nel cantiere si muovono felpati, emozionati da quell’esplosione di colori, da quegli animali fantastici che sembrano strizzare l’occhio da un’altra dimensione. “Vederli emergere dalla coltre di pomice che mano mano veniva rimossa è stato incredibile anche per noi”, racconta fermandosi un attimo uno di loro. Tutt’intorno, a un passo dai turisti che come ogni giorno sciamano a frotte tra i vicoli, questo pezzo di Pompei è oggi un grande cantiere. Con gli operai che scavano, i muletti che trasportano montagne di terra e pietrisco, ingegneri e architetti che vigilano su ogni movimento. “Tutto per mettere in sicurezza la millenaria città”, ricorda Osanna. La scoperta della casa del giardino incantato, sorride guardandosi attorno, “è un tesoro inaspettato che viene da qui”. Alle volte è così, prendersi cura della storia può fare miracoli.
Foto ANSA