
ROMA – Saranno “grandi”, lunghe, alte, basse e costiere. Ci sarà la Grande Brianza e ci sarà il Grande Friuli. Ci sarà la Toscana del Sud e l’Alto Lazio. Poi ci saranno la Costa tirrenica e l’Adriatica. Erano 100 e saranno di meno. Ma saranno grandi di fatto (visto che l’estensione minima è uno dei criteri di sopravvivenza) e di nome.
Le province italiane, sempre se la proposta del governo tra iter parlamentare, proteste e ricorsi amministrativi, andrà davvero in porto si “consolano” coi nomi. Nomi “importanti” di quelli che servono a darsi un tono. E’ il caso del Grande Friuli che nascerebbe dalla fusione di Udine e Pordenone. Idem in Lombardia dove Monza, nonostante la vicinanza geografica, non verrebbe “risucchiata” da Milano ma si fonderebbe con Como, Lecco e Sondrio per creare la “Grande Brianza”.
In Liguria, invece, se La Spezia appare inevitabilmente destinata a confluire nell’area metropolitana di Genova, dalla fusione tra Savona e Imperia dovrebbe nascere “La lunga”. In Piemonte la fusione tra Cuneo e Asti ha il sapore della Savoia: sempre che si possa fare visto che il leghista Daniele Folgliato protesta perché la scomparsa del nome Asti potrebbe danneggiare il mercato dello spumante.
Al centro Rieti e Viterbo sono destinate a unirsi: se dovessero strappare Civitavecchia a Roma il nome sarebbe inevitabile, e sarebbe Etruria. Sempre nel Lazio c’è Latina ufficialmente a caccia di Comuni da inglobare per evitare di essere risucchiata nel Frusinate. Infine le province costiere: un maxi aggregato da Pescara a Macerata dovrebbe dare vita alla Adriatica. Sull’altra sponda, in Toscana, la Tirrenica dovrebbe accorpare buona parte delle aree costiere. Ma rimane il problema di tener separate Pisa e Livorno.
La sensazione è quella di un “risiko” appena agli inizi. Forse, almeno sul piano burocratico, sarebbe stato più facile abolirle tutte.