ROMA – Non basta il trucco per coprire l’occhio nero di Lucia, mamma di due bimbi. Non basta indossare le maniche lunghe di un maglione, per nascondere lividi e cicatrici di Claudia, studentessa di 25 anni. E non bastano neanche i tentativi di denuncia per stalking di Valeria, che dovrà affrontare una giornata di lavoro con la paura di essere seguita. Di nuovo. Le storie sono tante e di diversa natura ma tutte hanno lo stesso epilogo: la violenza sulle donne.
Che sia fisica, che sia mentale poco cambia. Vivere con la continua sensazione di paura, con l’incapacità di difendersi contro chi, probabilmente all’inizio si amava, non è normale. “Non è normale che sia normale” svegliarsi con il terrore di essere picchiata davanti ai propri figli, di finire all’ospedale e non denunciare il torturatore. “Non è normale che sia normale” credere di aver sbagliato d’indossare un tanga e pensare che sia questo il motivo per lo stupro subito, perché è una sentenza del Giudice a stabilirlo.
#Nonènormalechesianormale è il nome della campagna di sensibilizzazione lanciata dalla vicepresidente della Camera, Mara Carfagna, e accolta da numerosi personaggi noti e meno noti che, in queste ore, stanno facendo appelli sui social con un’evidente linea tracciata sotto un occhio da un rossetto rosso. Un gesto evocativo per dire basta alla violenza su mogli, mamme, figlie, ragazze, donne. Un’iniziativa che deve coinvolgere tutti visto che, secondo una stima agghiacciante, in Italia si sono perpetrati oltre 30 femminicidi nei primi 9 mesi del 2018 e molteplici sono i casi di denunce per stalking, di maltrattamenti domestici, di violenze sessuali e molestie sul posto di lavoro. Una barbarie ingiustificabile per un’epoca che dovrebbe aver raggiunto il traguardo d’emancipazione.
Il 25 Novembre è la giornata internazionale contro la violenza sulle donne, istituita dall’Onu in ricordo del brutale omicidio di tre sorelle nella Repubblica Dominicana che sono state torturate, bastonate e strangolate perché si erano opposte alla dittatura del Governo. Correva l’anno 1960. Sono trascorsi tanti anni da allora, eppure le cose purtroppo non sono cambiate. Ed è giusto che se ne parli e ci si mobiliti. Le scarpe rosse nelle piazze sono una delle tante manifestazioni che hanno voluto rendere onore a questa giornata. Dal 2005 è nata, inoltre, l’iniziativa di verniciare di rosso alcune panchine di Comuni, Città, Licei, Università e varie Istituzioni.
Anche in alcune sedi Rai le possiamo notare. La scelta di un colore così forte non è un caso. Sembra sangue versato, quello sulla panchina. Ed effettivamente lo è. È il sangue di tutte quelle donne che hanno subito ferocia fisica e verbale e di tutte quelle che tuttora soffrono nel buio del silenzio. Di tutte quelle donne che non ce l’hanno fatta, vittime di orchi assassini. E di quelle che, miracolosamente, si sono salvate e possono raccontare la loro storia. Come Jessica che non nasconde il suo volto sfregiato dall’acido e che, nonostante i numerosi e dolorosissimi interventi di chirurgia estetica, non tornerà più come prima. L’ex fidanzato non sopportava di essere stato lasciato così, nonostante la denuncia per stalking e il divieto di avvicinamento, ha aggredito la povera ragazza lanciandole l’acido addosso.
C’è poi chi non ha neanche potuto raccontare la propria storia. Come Sara, bruciata viva dal fidanzato. E Desirée, drogata e stuprata dal branco. In questi anni sono nati centri antiviolenza e d’accoglienza, numeri telefonici da contattare. Il modo per denunciare esiste. Basta trovare la forza che per natura ciascuna di noi possiede. Il Parlamento si sta mobilitando con le leggi, ma deve fare di più. “L’educazione sentimentale” rimane ahimè solo un romanzo, anche se dovrebbe essere alla base di tutti gli uomini che devono imparare ad amare le donne. Creature meravigliose come la Terra, che sono vita e danno la vita.