“Non abbiamo bisogno di un dittatore”,
ha detto con impeto a RepublicaTv Stefano Fassina, dimessosi da vice ministro dell’economia per la sprezzante domanda, “Fassina chi?” del nuovo e scatenato segretario del Pd Matteo Renzi.
Il Pd, ha detto Fassina, deve essere
“un soggetto politico. […] Serve una leadership forte, ma va evitato il rischio di far diventare il Pd un partito personale. Ci vuole un partito che torni a essere un partito”.
L’analisi è dura e condivisibile da parte di chi non si fa abbagliare dagli slogan un po’ di celluloide di Matteo Renzi:
“Mi sono dimesso per le ambiguità del Pd verso Letta. Percepisco in modo netto che il segretario del mio partito oltre a mettere in evidenza gli errori del governo si lascia andare sistematicamente a caricature distruttive: abbiamo avuto fase in cui era “il governo delle marchette”, e non ho mai sentito una parola di apprezzamento anche su misure importanti che pure abbiamo raggiunto”.
Subito, nella secca cronaca di Giovanna Casadio, è scattato il perbenismo. Dario Franceschini, quello che non avrebbe mai fatto educare i suoi figli
da Berlusconi e fu costretto a una umiliante retromarcia che lo qualificò come inadeguato alla segreteria del Pd. oggi sale in cattedra:
“Fassina usa parole esagerate, anche perché queste accuse preventive a Renzi sono sbagliate”.
Gianni Cuperlo non perde l’occasione per difendere il suo nuovo amore:
“Non serve un dittatore e non credo ce ne sia uno. C’è un segretario scelto a larghissima maggioranza”.
A questo punto Stefano Fassina si inebria nell’aria da Comintern e fa la sua brava autocritica:
“Con la parola “dittatore” non mi riferivo a Renzi”».